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Africa: un ordinario weekend di “war on terror”

by Adriano Scianca
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war-on-terrorRoma, 7 ott – Week-end ad alta tensione in tutto il Maghreb, tra i blitz americani in Libia e Somalia e le manifestazioni che hanno paralizzato l’Egitto, il nord Africa sembra apparire sempre più uno scacchiere geopolitico estremamente instabile. Il Times ha confermato i due interventi delle forze Usa in Africa: nelle strade di Tripoli si è consumato l’arresto del super ricercato Abu Anas al-Libi, la mente degli attacchi alle ambasciate statunitensi in Kenya e Mozambico nel 1998, costati la via a più di 200 persone.

Un’azione concertata tra Cia, forze speciali americane e Fbi definita un successo dallo stesso presidente Obama che ha dato il via libera al blitz, cosi come ha autorizzato il secondo raid, di cui si parla meno, che ha visto impegnato il team six dei Navy Seal, la squadra che compì l’impresa di catturare il ricercato numero uno al mondo Osama Bin Laden, per poi perderne incredibilmente il cadavere in mare durante il volo in elicottero. Si è svolto in Somalia per colpire le basi del movimento islamico radicale Shabaab e decapitarne i vertici. Tuttavia, ad ora, l’unica cosa che sembra certa – secondo indiscrezioni di funzionari americani – è che il leader degli Shabaab non è sotto la custodia statunitense. Ucciso in combattimento forze, ma – secondo quanto rivelato dalla fonte – i Navy Seal sono stati costretti a ritirarsi, prima di poter accertate l’eventuale uccisione del leader: un ritiro dettato – secondo indiscrezioni riportate dalla Cnn – dal “contesto ostile” in sui si sono trovati ad operare, probabilmente incalzati dal fuoco nemico. Gli Shabaab cantano vittoria, dopo aver “respinto con perdite” l’attacco – inizialmente attribuito ad un’azione turco-britannica, poi smentita – e asserendo di aver ferito o ucciso almeno uno degli attaccanti.

Una nota stonata in una giornata all’insegna della guerra americana al terrore che il vicepresidente Kerry, dall’Indonesia, aveva riassunto oggi pomeriggiocommentando che gli Usa “non cesseranno mai la caccia agli estremisti”, che “possono scappare ma non nascondersi” e ancora: “Questi membri di al Qaeda e di altre organizzazioni terroristiche anche quando scappano, non riescono a sfuggirci”.

Singolare il profilo di quello che doveva essere l’obbiettivo dell’azione americana condotta nel cuore della notte, sulla spiaggia di Barawe. I Seal infatti volevano snidare Abu Diyad ‘il ceceno’: il più esotico capo guerrigliero dell’insanguinato Corno d’Africa, arrivato in Somalia dal lontano Caucaso per unirsi alla jihad dei “fratelli neri”.

Come lui tantissimi combattenti di Allah partiti dalla Cecenia oggi ingrossano le linee delle milizie estremiste in Siria dove però le forze Usa non sembrano evidentemente rilevare un pericolo terrorismo, vista la ferma volontà, poi stemperata, del presidente americano di intervenire al fianco dei ribelli siriani, gli integralisti appunto, per liberare Damasco dal presidente Assad. Operazione del tutto in linea con le primavere arabe di questi anni che però al loro passaggio sembrano lasciare sempre il posto a regimi d’ispirazione integralista, che auspicano e, come nel caso egiziano, impongono la sharia come legge dello stato, reprimono nel sangue il dissenso al pari degli altri dittatori e si trasformano con sospetta velocità da movimenti per la libertà a rigidi partiti islamisti.

Sul fronte egiziano il bilancio delle manifestazioni dei sostenitori del deposto presidente Morsi è grave: quindici manifestanti uccisi in vari quartieri del Cairo e più di ottanta feriti secondo quanto riportato dalla Coalizione per la legittimità che coordina i movimenti che sostengono l’ex presidente, in uno scenario quanto mai caotico dove c’è addirittura che ventila l’ipotesi di rimettere in lizza per la leadership l’ex rais Mubarak, scagionato dalle pesanti accuse che ne avevano determinato l’arresto dopo la primavera araba d’Egitto ed ora possibile candidato.

Alberto Palladino

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