Roma, 12 giu – Nel maggio 2017, il New York Times riferiva che la CIA stava affrontando grandi difficoltà in Cina: le sue fonti e i suoi agenti operativi in Cina erano, per la maggior parte, stati neutralizzati. Infatti tra il 2010 e il 2012, una dozzina di operazioni di spionaggio della CIA sarebbero state smantellate: circa 20 informatori sarebbero stati uccisi o imprigionati. Data l’importanza di questa lacuna, che offriva preziose informazioni sul Partito Comunista Cinese, gli agenti statunitensi cercarono di capire come Pechino avrebbe potuto contrastare le loro operazioni: alcuni pensavano che la Cina fosse riuscita a penetrare nel sistema di comunicazione segreta americana mentre altri analisti hanno invece supposto che vi fossero delle talpe nell’Agenzia.
Jerry Chun Shing Lee, un americano naturalizzato di 54 anni, è un ex agente della CIA, che ha prestato servizio dal 1994 al 2007. Dopo essersi trasferito a Hong Kong, nell’aprile del 2010 viene avvicinato da due agenti dell’intelligence cinese. Gli offrono 100mila dollari in cambio di informazioni acquisite durante la sua carriera alla CIA. Lee accetta e inizia a lavorare per l’intelligence cinese nel maggio dello stesso anno. Lo studio del suo conto corrente bancario mostra che Lee ha accumulato centinaia di migliaia di euro fino al 2013 e ciò non poteva non destare sospetti presso l’Agenzia. Proprio per questo Lee sarà interrogato più volte dai servizi americani, ma senza risultato.
La spia dei cinesi
Solo nell’agosto 2012, una squadra dell’FBI fece irruzione a Honolulu in una camera d’albergo, registrata a nome di Lee, trovando una chiave USB che conteneva informazioni segrete sulle attività della CIA, incluse le sedi in cui venivano assegnati agenti specifici della CIA e la posizione e i tempi di un’operazione molto delicata dell’agenzia. L’indagine dell’FBI ha anche trovato un’agenda e una rubrica con annotazioni relative alle sue missioni precedenti al 2004 quando era ancora un agente della CIA. Tra le informazioni disponibili vi erano le identità e i numeri di telefono delle fonti, le informazioni che hanno fornito, i luoghi di incontro e le installazioni segrete della CIA.
Dopo essere stato nuovamente interrogato tre volte nel maggio 2013, Lee ha ammesso di aver ricevuto richieste da agenti cinesi. Per quanto riguarda il file della chiavetta USB, inizialmente Lee ha negato che fosse sua. Una settimana dopo, ha ammesso di esserne il proprietario. Infine tra il gennaio e maggio del 2018 sono state raccolte prove così ampie e dettagliate da farlo condannare all’ergastolo.
La gravità di questo caso di spionaggio è tale che secondo Michael Collins, vice direttore aggiunto della CIA del Centro di missione Asia orientale, ci sono tutte le condizioni per parlare di una nuova guerra fredda tra Cina e Usa. Sia sufficiente d’altronde pensare ai casi dell’ex funzionario Kevin Mallory nel giugno 2017 e del funzionario del Dipartimento di Stato, Candace Marie Claiborne.
Giuseppe Gagliano