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Autobomba a Pechino, gli indipendentisti alzano il tiro

by Alberto Palladino
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Cina: auto in fiamme a Tiananmen, almeno 5 mortiPechino, 29 ott – Un’azione di terrorismo, una immolazione di matrice islamica: questa la pista su cui la polizia cinese indaga per fare luce sull’attentato – decaduta oramai l’ipotesi incidente- che alle cinque di mattina, ora italiana, mezzogiorno per i cinesi, ha ucciso cinque persone ferendone 38 nella storica piazza Tiennanmen a Pechino.

L’auto, un Suv, ha travolto una barriera di sicurezza all’esterno dell’entrata principale della Città Proibita e ha investito varie persone – turisti e agenti di polizia- che erano sul marciapiede. La polizia ha isolato ed evacuato la zona, di solito affollata anche di turisti, e chiuso la stazione metro Tienanmen Est, una di quelle tramite cui si accede alla piazza simbolo delle rivolte studentesche del 1989 contro il governo cinese.

L’auto bomba usata dal commando suicida, composto da tre individui, aveva la targa della provincia dello Xinjiang, regione “calda” del nordovest Cina dove vivono le minoranze islamiche turcofone degli Uigura. Un’etnia che dal secolo scorso conduce una guerra a bassa intensità per la propria indipendenza da Pechino con episodiche esplosioni di violenza e reciproche accuse tra governo cinese e minoranze, il primo accusato di ripetute violazioni dei diritti umani e del tentativo di cancellazione della cultura e della tradizione uigura, i secondi accusati dalle autorità di costituire un vero e proprio focolaio indipendentista all’interno del gigante asiatico.

l43-xinjiang-130308083926_medium Nel 2009 a seguito della morte di due uiguri in uno scontro con l’altra minoranza della zona, i cinesi Han, si arrivò ad una vera e propria guerra etnica tra le due minoranze e a scontri tra gli uiguri e la polizia inviata d’urgenza da Pechino con un bilancio finale di 184 morti, di cui 137 Han e 46 Uiguri oltre l’arresto di 1.434 persone 200 delle quali finite nel braccio della morte. Intanto le prime indiscrezioni parlano di due nomi già noti alle forse di sicurezza cinesi: Yussuf Umarniaz e Yussuf Arputi, tuttavia , non è chiaro se si tratti degli occupanti del veicolo o siano due ricercati come fiancheggiatori dell’ operazione. Una fonte ha riferito all’agenzia Reuters che quello di lunedì è stato un attentato suicida. In assenza finora di una rivendicazione, i simpatizzanti della causa uigura mettono in guardia dal condannare la minoranza per l’attentato. Secondo il sito South China Morning Post la polizia starebbe cercando almeno otto sospetti di cui almeno uno cinese.

Quella delle minoranze sembra essere per il colosso asiatico una spina nel fianco endemica, non si placano le proteste e le azioni, spesso eclatanti degli esponenti delle etnie ostili al governo cinese basti ricordare l’instabilità della situazione tibetana e le tragiche immolazioni dei monaci o degli attivisti pro Tibet che arrivano a darsi alle fiamme per attirare l’attenzione internazionale sulla loro lotta. Pechino tuttavia risponde con incredibile durezza arrivando a perseguire le famiglie se non l’intero villaggio di che si immola per la causa, all’ immediata sospensione dei programmi di sostegno statale per la zone periferiche, in caso di episodi di martirio, si è passati all’ arresto e alla deportazione di tutti coloro i quali si rechino dalle famiglie dei caduti per rendere omaggio o semplicemente per porgere le condoglianze.

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Nel background di una nazione un elemento di forza e stabilità sul piano geopolitico è sicuramente la vastità del territorio ma sull’ altra faccia della medaglia una fortissima crepa nell’impalcatura dello stato è rappresentato dalla frammentazione e dalla tensione che serpeggia fra minoranze e le religioni diverse tutte racchiuse, spesso forzatamente, nell’immenso mosaico cinese in cui ne il partito padrone né la capillare rete di sicurezza e la dura repressione messa in atto, sembrano costituire più un ostacolo alle spinte indipendentiste.

Alberto Palladino

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