Londra, 18 Set – “Vissi d’arte, vissi d’amore” cantava la Tosca di Puccini, ma adesso, si sa, fare “arte” – specie se fa discutere – può essere un mestiere remunerativo … ammesso che si abbia il copyright sulle opere. La cosa non riguarderebbe dunque Banksy, che è stato privato del copyright sulla sua famosa immagine, “The Flower Thrower”, quella che ormai campeggia sui muri di ogni fuori sede che si rispetti e su t-shirt di mezzo mondo. Una giuria ha infatti stabilito che l’artista anonimo amico e finanziatore delle Ong pro immigrazione avrebbe tentato di “aggirare la legge” aprendo un negozio pop-up a Londra nel tentativo di proteggere i suoi diritti di proprietà intellettuale. Ma, alla fine, è stata proprio la sua volontà di rimanere anonimo ad avergli remato contro.
L’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale all’inizio di questa settimana, dopo una battaglia legale durata due anni contro la Full Color Black (una società che si occupa di poster e biglietti di auguri), che ha contestato il diritto di Banksy di usufruire esclusivamente della propria immagine, ha rimesso l’artista inglese e le sue velleità da ribelle al loro posto. Proprio in virtù di questa causa Banksy, il paladino delle Ong, si è deciso ad aprire il negozio. “Forse un motivo poco poetico per tenere una mostra d’arte”, dichiarò all’epoca il writer che decise di riempire il negozio (che in realtà non è mai stato aperto) con articoli “creati appositamente per soddisfare una particolare categoria di marchio ai sensi del diritto dell’Ue”.