La Brexit e il nuovo assetto europeo
Il voto che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europa ha solleticato la fantasia di molti giornalisti e analisti. L’illusione della partecipazione democratica ha offuscato la lucidità sia di coloro che hanno voluto vedere nella Brexit un sussulto di sovranità popolare, sia di quelli che si sono indignati nello scoprire uno dei paesi più liberali e multirazziali abitato da una maggioranza di presunti razzisti e intolleranti. La “reductio ad hitlerum” può essere un argomento utile a provocare indignazione morale e facili schieramenti di campo (pro e contro, bene e male) ma non serve a comprendere la complessità della realtà. Fuori da ogni illusione non è difficile capire che per i paesi europei cambi veramente poco in fatto di economia e commercio mentre, se ci sarà la volontà, potrebbero presentarsi alcuni spiragli politici in sede di Parlamento Europeo, dove la presenza dei liberal inglesi non potrà più farsi sentire. Come ha detto opportunamente Gabriele Adinolfi, il voto inglese non è tanto un voto contro l’Europa quanto una protesta contro l’immigrazione. Il fatto che con tutta probabilità il risultato fosse già deciso a tavolino non cambia il fatto che alle forze politiche che sapranno muoversi con intelligenza, si presenti l’occasione di dare battaglia su questo tema vitale. Il fulcro della politica europea si è adesso spostato più marcatamente a Est. Il peso politico di Stati dell’Europa orientale può ora aumentare e diventare determinante su aspetti di primaria importanza per il futuro dell’Europa. Bisogna inoltre notare come ora Francia e Germania si trovino costrette a un maggior coinvolgimento dell’Italia in sede di politica estera, nonostante l’inettitudine delle dirigenze della penisola. Anche questo diventerà con tutta probabilità un perno decisivo della politica europea dei prossimi anni.
Turchia: un colpo di Stato dall’alto
L’instabilità dei Balcani e il rischio di “rivoluzioni colorate”
Ma per capire quale sarà con tutta probabilità l’epicentro dei prossimi conflitti bisogna osservare la situazione dei Balcani. L’instabilità politica di Macedonia, Serbia, Albania e Bosnia rende quei paesi facili teatri di “rivoluzioni colorate” di marca occidentale. Inoltre, come opportunamente spiegato da Giovanni Giacalone, Bosnia e Albania sono sede di frange terroristiche islamiche e i Balcani sono bacino di combattenti ed estremisti. Questa minaccia non è stata concretamente affrontata da nessuno e, complici i flussi di immigrati provenienti dalla Turchia, preme minacciosamente alle porte dell’Europa. È del tutto probabile che i foreign fighters provenienti dai Balcani e dall’Europa siano passati attraverso la Turchia per giungere in Siria. È invece certo che la Turchia usi i flussi immigratori come un’arma di ricatto contro l’Europa. Interessi russi e cinesi si concentrano sempre più nei Balcani, puntando soprattutto ad aprire rotte commerciali ed energetiche. Questo naturalmente può avere notevoli vantaggi per l’Europa, che non deve però dimenticare che i pilastri dell’unità e i fondamenti della civiltà non consistono tanto nell’economia e nei beni materiali, quanto in una cultura comune, in una visione politica equilibrata e cooperativa, in una progettualità solidale. Il rischio è quello di aprire ulteriormente le porte a influenze straniere nel nome del benessere, rinunciando ulteriormente alla propria identità. I Balcani, come aveva ben compreso
Usa: in attesa dell’elezione del presidente per definire le nuove strategie
Gli Stati Uniti d’America hanno deliberatamente scelto di provocare il caos nella regione medio orientale e nord africana per contenere l’Europa. Se si osserva la cartina redatta dal Council on Foreign Relations sui conflitti più gravi nel mondo, quelli di maggior interesse per gli Usa si trovano in Medio Oriente e sulle coste della Cina. Il fatto che negli ultimi anni l’azione diretta degli Usa sia meno presente non significa che non ci sia una strategia dietro. La politica contemporanea è fatta dal sovrapporsi e contrapporsi di gruppi di pressione e d’interesse di vario genere che si comportano come azionisti di una grande azienda. Quando il o i gruppi più forti riescono a imporsi è l’azienda intera a muoversi, ma chi decide resta nell’ombra. Le scelte e i princìpi della politica interna sono sempre più lontani da quelli che stabiliscono la politica internazionale. La rete di interessi globali è tale da richiedere grande elasticità senza perdere di vista gli obiettivi strategici, cioè a lunga scadenza. Le dure accuse mosse da Erdogan agli Usa in occasione del golpe fallito hanno sollevato una risposta blanda e sotto tono da parte dell’amministrazione Obama, cosa che probabilmente non sarebbe accaduta se si fosse trattato di un altro paese. A fare la differenza sarà l’elezione del presidente americano. Essa deciderà la strategia americana, rivolta a un coinvolgimento diretto negli interessi europei o a un approccio indiretto, maggiormente interessato a una sorta di isolazionismo. In questo secondo caso, a una sorta di non interventismo farà seguito negli anni un più forte rifiuto a rispettare il diritto internazionale, agitando il principio di non ingerenza.
Una possibile progettualità geopolitica europea
Comunque andranno le cose, i Balcani costituiranno con tutta probabilità il fulcro degli interessi di molte potenze nei prossimi anni. Sin dalla Prima Guerra Mondiale la regione è stata contesa e spartita. La destabilizzazione provocata da infiltrazioni terroristiche e criminali fa il gioco di coloro che vogliono sfruttare per i propri interessi un’area strategica alle porte dell’Europa. Se può essere senz’altro proficua un’estensione nei Balcani della rete petrolifera russa verso l’Europa, questa farebbe in primo luogo gli interessi di Mosca, che non è e non sarà mai un ente di beneficienza pan-europeo. Comunque la si voglia vedere, sono l’assenza e il silenzio dell’Europa come civiltà, cioè come cultura, politica ed esercito, a lasciare campo a chiunque abbia le capacità di estendere i propri interessi alle porte del Vecchio Continente. Si tratta, in ogni caso, di colonizzazione morbida, economica, ma i cui esiti potrebbero essere disastrosi. Sta dunque in primo luogo all’Europa e alle sue dirigenze fare perno su principi di solidarietà culturale e politica per realizzare il disegno di un’Europa confederale in cui le sovranità nazionali si accordino a una geopolitica continentale progettuale. In questo modo, dando avvio a una politica di ampio respiro e lungo periodo, l’Europa potrebbe diventare polo d’attrazione per la Russia, distogliendola da un orientamento asiatico che potrebbe fagocitarla nel lungo termine. Inoltre, e a maggior ragione, un’Europa che trovasse la sua unità su fondamenta realmente condivise e sentite potrebbe presentarsi come formazione sovrana, capace di tutelare la stabilità e la pace nel Mediterraneo fino a estendere la sua influenza equilibratrice ed attrattiva ai Balcani e l’Europa Orientale.
Riassumendo
L’instabilità nell’area dei Balcani iniziata con l’aggressione a guida statunitense alla Serbia ha dato il via ad una escalation terroristica e criminale che fa base in Kosovo, diventato la Svizzera dei criminali. Nell’immediato futuro quella sarà con tutta probabilità la zona dove convergeranno, forse in contrasto, gli interessi di Russia, Cina, Turchia e Usa. In seguito alla Brexit e in concomitanza con i flussi immigratori provenienti dal Medio Oriente, l’Europa Orientale assume sempre maggior rilevanza. Non è dunque illusorio pensare che proprio in un’area fortemente destabilizzata alle porte dell’Europa centro-orientale possano farsi largo pressioni anti-europee. Appare dunque evidente la centralità dell’Europa e il momento decisivo in cui si trovano i popoli e le dirigenze del Vecchio Continente.
Francesco Boco
[cartine da limesonline, la prima indica le sfere d’influenza: viola tedesca, gialla russa, marrone turca; la seconda cartina indica in nero i flussi del crimine verso l’Italia]
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Concordo in toto.
Ottimo articolo che coglie l’essenziale: l’Europa potrà rialzarsi solo quando capirà che l’ unica via è contare sulle proprie forze, senza attendere ingenuamente aiuti esterni.
Solo un’Europa forte potrà poi stringere accordi con la Russia per bilanciare l’egemonia americana. Quella di oggi, al massimo, può andare da Putin a chiedere un piatto di lenticchie.