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Banche, sauditi e Urss: la lunga storia dei Clinton all’ombra delle lobby

by Adriano Scianca
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US President Bill Clinton (R) gives a thumbs up sign with First Lady Hillary Rodham Clinton (L) as they took to the stage prior to addressing the people of Buffalo, New York at the Marine Midland Arena 20 January. This is the first official trip of Clinton to Buffalo and comes after his State of the Union speech to Congress. (ELECTRONIC IMAGE) AFP PHOTO/Stephen JAFFE ORG XMIT: BUF99

Roma, 26 set – “La mia missione alla Casa Bianca sarà quella di far funzionare l’economia per ognuno di noi, non soltanto per i più ricchi. Si tratta di qualcosa di molto personale per me, essendo io un prodotto di quella middle class americana. Mio nonno lavorava in un’industria che produceva lacci a Scranton, Pennsylvania”. A Warren, sobborgo di Detroit, ci aveva provato, Hillary Clinton, a spacciarsi per figlia del popolo e corteggiare i fan di Bernie Sanders. Impresa quasi impossibile, non perché la storia strappalacrime sul nonno che fabbrica lacci fosse falsa, ma perché il suo campo, la candidata democratica, lo ha scelto da tempo: quello dei poteri forti.

Basti pensare che dalla fine del suo incarico come Segretario di Stato, nel 2013, Hillary ha guadagnato più di 21,6 milioni di dollari solo per prendere la parola a delle convention, il più delle volte organizzate da banche. Fa poi spavento la cifra che entrambi i coniugi Clinton avrebbero incassato dal 2001 a oggi grazie ai loro interventi in kermesse varie: oltre 153 milioni di dollari per 729 discorsi, una media di quasi 211 mila dollari a intervento. Di questa cifra, 7,7 milioni di dollari sarebbero arrivati almeno da 39 discorsi fatti per alcune grandi banche come Goldman Sachs e Ubs. E poi non può mancare certo lui, il re dei burattinai: George Soros, che alla Clinton ha donato a gennaio 8 milioni di dollari. Quando era Segretario di Stato, i dirigenti del suo Open Society Institute erano di casa nel suo ufficio. Altri miliardari che entravano e uscivano dal suo studio erano l’editore Mort Zuckerman, influente membro della lobby filo-israeliana, i coniugi Bill e Melinda Gates, Warren e Susie Buffett e tanti altri.

La lista dei finanziatori della sua campagna elettorale è emblematica: c’è la Monsanto, Barclays, Goldman Sachs, Coca Cola, Exxonmobil, Pfizer. Ma tra i 10 e i 25 milioni sono arrivati alla Clinton anche dal “Reame dell’Arabia Saudita”, con un rinforzo tra l’1 e i 5 milioni di dollari avuti dagli inquietanti “Amici dell’Arabia Saudita”. Scorrendo il novero di donatori troviamo poi, tra i tanti gentili contribuenti, l’Emirato del Kuwait (che ha regalato alla Clinton tra i 5 e i 10 milioni di dollari). Anche il Qatar ha messo mano al portafoglio. Davvero non crea nessun imbarazzo il fatto che il possibile futuro presidente degli Stati uniti sia finanziato da uno degli Stati più oscurantisti del pianeta, accusato di avere rapporti ambigui con il terrorismo? A proposito: generoso donatore è stato pure Sheikh Mohammed H. Al-Amoudi, il secondo cittadino più ricco dell’Arabia Saudita. L’Ethiopian Review lo ha indicato come un finanziatore del terrorismo jihadista, dovendo poi tornare sui propri passi chiedendo scusa per un’accusa sicuramente assurda. Altra stranezza: nelle casse della Fondazione Clinton sono arrivati anche ingenti fondi raccolti da una banca russa vicina al Cremlino.

Ma il lobbismo, in casa Clinton, è una passione di vecchia data. Quando andava alla Georgetown University, Bill era un pupillo del professor Carroll Quigley. Chi era costui? Ne parla Geminello Alvi in un articolo pubblicato in questi giorni sulla sua rivista on line, La Confederazione Italiana. Quigley era uno studioso delle élite che hanno il compito di favorire la diffusione planetaria della Anglosaxon Idea. Alvi lo definisce “lo Spengler americano” e spiega che nei suoi libri è possibile trovare “la conferma che esistono almeno dei canali di reclutamento delle elites, assai diversi da quelli pretesi dalla favoletta delle primarie o delle elezioni. Poco conta insomma chi vince le presidenziali. Quello che conta è che i concorrenti democratici o repubblicani siano stati filtrati dalle aristocrazie venali o dall’establishment di pochi Clubs, o di poche università, dove gli insiders si sono amalgamati in un potere esclusivo”. Fu lui a farsi garante dell’ammissione del giovane alla Rhodes Foundation di Oxford, vero tempio del lobbismo anglosassone.

Centrale per la carriera di quello che poi diventerà il 42esimo presidente statunitense sarà anche il salotto di Pamela Harriman, in cui Bill sarà selezionato e istruito. Un’altra personalità da scoprire: già sposata col figlio di Churchill, aveva portato all’altare in seconde nozze Averell Harriman, banchiere in affari con Prescott Bush, padre di George Bush, ma con ottime entrature anche nella Russia sovietica: “La prima visita di Harriman in Russia – racconta Alvi – avvenne quando era zar Nicola II; l’ultima su invito di Andropov nel 1983. Nel frattempo aveva però negoziato la sua concessione mineraria con Trotsky, il che non gli impedì poi di visitare Stalin ed elaborare un trattato nucleare con Krushchev”. Sua moglie Pamela, che aveva in curriculum storie d’amore con Gianni Agnelli ed Elie de Rothschild, sarà una figura di riferimento nel Partito democratico americano. Dopo l’elezione di Clinton e Gore, la Harriman disse in un’intervista: “Li ho scelti, invitati da noi e con loro abbiamo parlato…”. Nel 1993, Bill Clinton la nominò ambasciatrice in Francia. La gratitudine, in certe cerchie, è una moneta preziosa.

Adriano Scianca

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