Pyongyang, 14 nov – Circa ottanta persone giustiziate in Corea del Nord per capi d’imputazione tra i più disparati, come aver guardato la televisione sudcoreana, diffusione di materiale pornografico, prostituzione e anche il possesso di una Bibbia. Per questo stati giustiziati il 3 novembre in sette località della Corea del Nord.
La notizia è stata data da Joong Ang Ilbo , un giornale conservatore di Seul. E almeno per ora, non è verificabile. Il quotidiano cita informazioni raccolte tra i fuggiaschi nordcoreani. Sono mesi che circolano voci e rapporti su esecuzioni di gruppo a Nord del 38° parallelo, in quello che viene chiamato il Regno Eremita dominato da Kim Jong-un, dittatore, figlio e nipote di dittatori.
Secondo queste voci l’esecuzione degli ottanta condannati è avvenuta in pubblico: nella città orientale di Wonsan le autorità hanno radunato 10 mila spettatori allo stadio per la fucilazione di un gruppo di otto uomini e donne, avvenuta a raffiche di mitragliatrice.
La pena di morte in Corea del Nord è prevista per alcuni reati. Ufficialmente, le fattispecie di reato passibili di pena di morte sono cinque: complotti contro la sovranità dello Stato, terrorismo, alto tradimento contro la patria da parte di cittadini, alto tradimento nei confronti della popolazione; omicidio.
La realtà è tuttavia molto diversa, perché la pena di morte è praticata sistematicamente e su vasta scala in moltissimi casi, anche banali. Non si conosce il numero esatto di esecuzioni annuali, perché è segreto di stato; peraltro esse non sono mai riportate dai mezzi di comunicazione locali, strettamente controllati dal governo. Ricorrenti sono le esecuzioni pubbliche. Uno dei casi più frequenti è la punizione per tentata fuga all’estero (nella quasi totalità dei casi, Cina o Corea del Sud). Le esecuzioni pubbliche che avvengono nel sistema concentrazionario nordcoreano, che si articola, oltre alle normali carceri, in campi per i prigionieri politici, che pare siano sette, e campi di rieducazione, tra i 15 e i 20. Si stima che i detenuti politici attualmente siano compresi tra i 150000 e i 200000. Prigionieri e guardie scappati da questi luoghi li descrivono come veri e propri campi di concentramento, con alte percentuali di detenuti morti ogni anno.
Più recentemente, la pena di morte o la condanna ai lavori forzati sono state minacciate a chi utilizzi il cellulare, specie in pubblico, nel periodo di lutto successivo alla morte del dittatore Kim Jong-il, avvenuta il 17 dicembre 2011. Tale periodo dura 100 giorni a decorrere dal 17 dicembre, ed in questo lasso di tempo l’uso del cellulare è considerato crimine di guerra. L’intento è quello di evitare il diffondersi all’estero di notizie destabilizzanti, in un momento delicato per il regime.
Saverio Andreani