Roma, 29 feb – A fronte dell’epidemia dovuta al coronavirus, le autorità cinesi hanno dovuto de-strutturare la società del consumo al fine di preservare la popolazione. Abbiamo raccolto per voi la testimonianza di un cittadino francese residente in Cina.
Mi spiego: sin dall’inizio ufficiale della crisi sanitaria in Cina, la popolazione è stata invitata a non avere più alcuna interazione sociale; in effetti, la salute non poteva che passare attraverso l’arresto della formula produttivo-consumista dal momento che l’esistenza moderna è basata su attività di produzione e scambi mercantili. Al di fuori del lavoro e del mondo degli affari, infatti, le persone avevano già da tempo smesso di frequentarsi. Oggi, la maggior parte dei ristoranti sono chiusi, così come i parchi, i supermercati, i cinema, le chiese, i templi…
L’epicentro della propagazione del virus è stato rapidamente sigillato dalle autorità e progressivamente i dintorni ed infine il resto del paese si è chiuso, ufficiosamente. Ad esempio nel mio condominio, l’accesso alla piscina è stato immediatamente vietato, subito dopo quello agli edifici “amministrativi”, in cui ci sono la palestra ed una sala giochi. Ormai, gli invitati esterni non sono più accettati e postini e spedizionieri non possono superare la portineria.
Mentre prima, i cinesi passavano il loro tempo a lavorare per poi consumare, adesso nessuno lavora più, fatta eccezione per alcune tipologie di telelavoro, per mantenere una parvenza di attività…
Ma certamente nessuno consuma più: il 99% di negozi e ristoranti sono chiusi e comunque non c’è più nulla da comprare. Perfino su internet (nonostante i cinesi siano 15 anni avanti agli europei su tale dominio) non serve a nulla comprare perché ad ogni modo la merce non verrebbe spedita; senza contare il fatto che le fabbriche sono chiuse e di conseguenza non producono.
Un modello saltato
E’ quindi tutto i modello cinese ad essere in stallo. Anche le scuole sono chiuse fino a nuovo ordine; gli alunni sono in una sorta di vacanza prolungata. Le città stanno “chiudendo” una ad una e gli abitanti dovranno rimanere confinati ancora per settimane e forse per mesi, ed è in un certo senso affascinante osservare come un tale gigante economico, un orco conquistatore che immaginavamo onnipotente, sia ridotto a un tale epocale rallentamento.
Non sono particolarmente inquieto perché la malattia passerà senza dubbio naturalmente, da sola, con l’aumento delle temperature, mentre la Cina si dovrà comunque incaricare di debellare il virus, visto che tutti i gruppi “Big Pharma” del mondo intero sono impotenti. L’epilogo sarà di vedere se le persone ricominceranno a consumare come se niente fosse, riprendendo la loro vita di robot, dimentichi della loro esperienza di clausura (riscoperta della vita familiare, attività collettive gratuite, lettura, musica, compiti, giochi…) oppure no.
Il virus avrà forse inoculato un po’ di senso o non sarà altro che un dato aleatorio e provvisorio nella folle corsa alla crescita economica infinita? Intravediamo forse la risposta, anche sulla base di esperienze passate, ma questo tipo di irruzioni improbabili, di arresti fortuiti e non programmati, potrebbe avere delle conseguenze insospettabili. Il famoso “imprevisto della storia” è anche questo. Nell’attesa ci razioniamo, rimaniamo in famiglia, e devo dire che questo tempo di “sospensione”, calma e frugalità – questa sorta di stato d’assedio non per forza mortifero e definitivo – non è alla fine così spiacevole.
Pascal Dupont (Rivista Eléments)
Traduzione di Chiara Del Fiacco
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