Roma, 30 nov – Può un’etichetta compromette i rapporti diplomatici? Sì, se a venire “colpito” – virgolette più che d’obbligo – è Israele, la cui suscettibilità in termini di relazioni internazionali è abbastanza nota. Anche se in questo calo decisamente malriposta.
Ad inizio novembre l’Unione Europea ha imposto l’etichettatura delle merci prodotte nei territori palestinesi occupati da Israele, al fine di distinguerli da quelle prodotte entro i confini dello stato ebraico. La motivazione della scelta è di natura prettamente tecnica: l’Ue riconosce i confini del 1967, per cui le merci prodotta al di fuori di questi non possono essere, secondo le leggi comunitarie sul commercio, considerate come “made in Israel”.
Apriti cielo. Nonostante le rassicurazioni – “Non si tratta di un’azione politica, ma di una misura tecnica in linea con le leggi comunitarie”, hanno cercato di spiegare in tutte le salse da Bruxelles – il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha manifestato rumorosamente le proprie rimostranze sulla decisione europea. E visto che dalla Commissione non c’è stata alcuna marcia indietro, ecco infine la drastica decisione: “Sospensione dei rapporti diplomatici” e “riesame del coinvolgimento delle istituzioni Ue per il processo di pace con i palestinesi”, hanno comunicato da Tel Aviv in maniera formale a Lars Faaborg Andersen, ambasciatore Ue in Israele.
Israele continuerà a mantenere i rapporti con tutti i paesi membri dell’Unione Europea, precisato fonti del governo. Non invece, come detto, con gli organismi comunitari. A rischio rinvio saranno così una serie di incontri che, nell’immediato futuro, dovevano vedere l’Ue – su impulso anche del segretario di Stato Usa, John Kerry – protagonista nella ripresa dei negoziato israelo-palestinesi proprio sugli insediamenti in cisgiordania, le cui produzioni sarebbero “toccate” dall’etichettatura. Considerato il fatto che l’export israeliano dai territori occupati rappresenta una percentuale pressoché irrilevante del totale, non è a questo punto escluso che la decisione di Netanyahu non sia altro che una mossa per far saltare ancora il tavolo.
Roberto Derta