Londra, 8 gen – Rebekah Wershbale, una donna di nazionalità inglese, è stata allontanata da un pub in Macclesfield, Cheshire, dopo che il personale aveva ricevuto lamentele a proposito della maglietta indossata dall’avventrice. La motivazione? Offendeva le persone transgender. Secondo quanto riportato dal Mirror, la ragazza indossava una maglietta con la definizione di “donna” data dal dizionario, e cioè: “femmina di essere umano adulto”. E fin qui la biologia, il tanto vituperato buon senso, e 200mila anni di esistenza della specie homo sapiens sapiens avrebbero dovuto darle ragione.

Ma a questo punto una delle bariste ha allontanato Rebekah informandola che la sua t-shirt era gravemente offensiva delle persone transgender: pare infatti che gli uomini convinti di essere donne non si sentano inclusi nella definizione di “donna” universalmente accettata, e che possiamo trovare aprendo qualsiasi dizionario – tranne forse quelli utilizzati nella comunità lgbt. La ragazza, che era accompagnata dalla propria fidanzata, avrebbe urtato la sensibilità di un altro avventore (presumibilmente trans) che prontamente avrebbe intimato ai baristi di sbarazzarsi della presenza “triggerante”.

La Wershbale è attivista del gruppo femminista Fair Play for Women, che in questo periodo si sta opponendo alle consultazioni del governo britannico che vorrebbe permettere ai trans (o aspiranti tali) di identificarsi nel sesso preferito senza il bisogno di una diagnosi medica. Esiste infatti una frangia di femministe (le Terf, transgender exclusionary radical feminists) enormemente preoccupate dell’impatto che la concessione di diritti alle persone transgender potrebbe avere sulle donne biologicamente tali, soprattutto per quanto riguarda la tematica della sicurezza. Sembra incredibile che nel 2018 esistano attiviste, osteggiate e stigmatizzate dal resto dell’ambiente, che sostengono la tesi per il cui il genere non è un costrutto sociale.

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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