Roma, 30 mar – Lo scorso 23 marzo è stato firmato il tanto discusso “memorandum” di intesa tra Italia e Cina, il protocollo non vincolante che consentirà al nostro paese di essere parte integrante della famosa “Nuova Via della Seta“, diventando di fatto il primo paese del G7 ad essere coinvolto nel progetto.
I pruriti francesi
Sebbene il valore intrinseco degli accordi abbia portata piuttosto limitata (si stima tra i 5 e i 7 miliardi di euro), non si sono fatte attendere le critiche da parte dell’Unione Europea ed in maniera particolarmente veemente dal presidente francese Emmanuele Macron.
Se il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker si è limitato ad una blanda contrarietà di principio, affermando che “gli investimenti non dovrebbero essere esclusivamente cinesi” e che “le aziende europee non hanno le stesse possibilità sul mercato cinese rispetto alle aziende cinesi che operano in Europa”, Macron si è scagliato contro il governo italiano definendolo “ingenuo” ed incapace di comprendere che l’investimento cinese in infrastrutture è solo un modo per aumentare l’influenza economica e politica della Cina in Europa.
Pur essendoci un fondo di verità nelle parole di Macron, è indubbio che la predica sull’etica e sulla moralità del progetto appaia quanto meno un po’ forzata, soprattutto alla luce di quanto scaturito dagli incontri avuti dal presidente francese con Xi Jin Ping nei giorni immediatamente successivi.
Tutti gli accordi della Francia
Mentre l’Eliseo con un comunicato ufficiale affermava la “necessità di difendere gli interessi ed i valori che uniscono le nazioni dell’Unione Europea” e di “proteggere l’Unione dalle grandi trasformazioni del mondo contemporaneo” una serie di accordi per un valore complessivo superiore ai 40 miliardi di euro veniva siglato tra la Francia e la Cina.
Non solo l’acquisto da parte cinese di 300 aerei Airbus, di cui il governo francese è il maggior azionista, per un valore superiore ai 30 miliardi di euro, ma anche un accordo che coinvolge la compagnia francese per l’energia Edf siglato con la China Energy Investment Corporation, ed altri trattati che riguardano la Schneider Electric e il colosso bancario Bnp Paribas. La sensazione è che la Cina sia il nemico da combattere solo quando gli interessi non coincidono con quelli francesi.
Curioso poi che le critiche al tentativo cinese di incrementare la presenza economica in Europa, visto come un modo nemmeno troppo velato per aumentare la propria influenza nel vecchio continente, avvengano nemmeno dieci giorni dopo il viaggio di Macron in Africa, dove ancora una volta la Francia ha ribadito la volontà di effettuare una nuova serie di corposi investimenti. Accompagnato dai dirigenti dei colossi francesi come Edf, Danone e Total Group, il presidente francese ha infatti annunciato accordi per la costruzione di infrastrutture in vari paesi, anche non necessariamente francofoni come il Kenya e l’Etiopia. Casualmente proprio questi due paesi, insieme a Gibuti, sono considerati dalla Cina fondamentali per lo sviluppo della “Belt and Road Initiative” dove investimenti per decine di miliardi di euro sono già stati effettuati.
L’ambigua strategia di Parigi
Ecco che la strategia del governo francese appare meno oscura, contrastando l’iniziativa cinese in Europa e in Africa si cerca di riaffermare la propria posizione nel continente africano, che dal 2000 in poi ha perso notevolmente importanza proprio a scapito della Repubblica Popolare Cinese.
Sicuramente non sarà un compito facile: nonostante l’economia cinese dia qualche segno di rallentamento, il colosso asiatico continua ad investire oltre 60 miliardi di dollari l’anno in Africa e gli scambi commerciali arrivano a quasi 200 miliardi di dollari, contro i pur considerevoli 50 miliardi di dollari tra la Francia e i vari paesi africani.
Appare chiara l’ambiguità del governo francese, da un lato si criticano le politiche “neocolonialiste” di Pechino ma allo stesso tempo cercano di mettere in essere manovre volte allo stesso identico scopo.
Per Macron sembra che l’obiettivo principale sia quello di far tornare la Francia ad essere una potenza globale. Un progetto alquanto ambizioso che probabilmente va visto come un tentativo disperato per contrastare il calo di popolarità che sta riscuotendo in Patria.
Claudio Freschi
1 commento
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