Roma, 30 nov – Davvero una bella famiglia, questa degli Abdeslam. I lettori di mezzo mondo conoscono bene Salah, il terrorista di Parigi che non si è fatto saltare in aria e che è l’uomo più ricercato d’Europa. C’è poi Brahim, suo fratello, lui invece ha rispettato la consegna e si è fatto esplodere in Boulevard Voltaire.
Ma Mohamed, il terzo fratello, lui è a posto. In questi giorni ha parlato spesso con i media, ribadendo di non aver mai avuto noie con la giustizia e richiamando Salah alle proprie responsabilità. Eppure anche Mohamed ha i suoi scheletri nell’armadio, seppur non terribili come quelli dei suoi fratelli.
Facciamo un passo indietro di 10 anni: è il 3 aprile 2005, un uomo cade nel vano ascensore del suo palazzo e muore davanti a suo figlio, a Etterbeek. La famiglia chiama un servizio di ambulanze private per trasportare il corpo dal luogo dell’incidente all’istituto medico-legale. Al momento di recuperare gli effetti personali della vittima, tuttavia, si scopre che mancano delle cose: un telefonino, delle carte di credito etc. Dopo la denuncia, la polizia punta subito sui portantini e scopre che in effetti è all’opera una banda di sciacalli professionisti che ha già derubato dai 20 ai 30 cadaveri.
Fra i colpevoli, c’è anche il 18enne Moahamed Abdeslam, al suo primo lavoro. “Io sono un ladro, un farabutto, un avvoltoio”, spiegherà senza reticenze al giudice, pur spiegando che il sistema era ben rodato già prima del suo arrivo e che lui avrebbe limitato ad adeguarsi all’andazzo generale. Alla fine sarà condannato a due anni con la condizionale.
Certo, non è la stessa cosa che sparare su gente innocente, ma forse per difendere davanti alle telecamere l’onore della famiglia Abdeslam si poteva trovare di meglio…
Giuliano Lebelli