Non sembrano però esserci nazioni amiche di Tokyo sul piede di guerra al largo delle acque che circondano il Giappone. A parte la Corea del Sud, che da decenni è in tensione con Pyongyang, il nemico fraterno e minaccioso a nord del trentottesimo parallelo, labile confine che divide le due Coree dal 1953. Pare quindi evidente che la mossa di Abe andrà oltre il mero sostegno agli Stati alleati. Prova ne è che la reazione del governo di Seoul è stata piuttosto fredda e numerosi cittadini della capitale coreana hanno protestato di fronte all’ambasciata giapponese. Mentre la Cina ha ovviamente contestato la svolta di Abe, limitandosi però ad una reazione tiepida e chiedendo a Tokyo di “agire con prudenza in materia di sicurezza”.
Se al contrario è parso scontato l’apprezzamento ufficiale di Washington, che teoricamente apprezza la mossa del governo nipponico perché potrebbe contribuire a frenare le ambizioni russe e cinesi nel pacifico, l’articolo pubblicato stamani sulla prima pagina dell’International New York Times descrive la decisione di Abe come un “drammatico cambio di posizione” e fa trasparire una ben più concreta preoccupazione da parte di Obama, che in seguito alla visita ufficiale a Tokyo dove ha mancato l’auspicato accordo sul libero scambio tra Usa e Giappone, non si fida più ciecamente dell’alleato asiatico.
Il premier nipponico Abe si sta quindi palesando come un alleato piuttosto scomodo o quantomeno difficilmente inquadrabile, per gli Stati Uniti. Tokyo sembra voler rivedere il proprio ruolo all’interno della scacchiera che ci mostra un mondo sempre più avviato verso un controllo multipolare, dove Washington è sempre meno una superpotenza in grado di dettare la linea a tutti gli storici alleati. E così gli alfieri si stanno trasformando in imprevedibili cavalli. Work in progress allora nel nuovo ordine mondiale, dove il Sol Levante non si nasconde più dietro la montagna americana.
Eugenio Palazzini
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