Baghdad, 17 giu – Undici anni son passati ma qualcosa è andato storto. Era il 5 febbraio 2003. Colin Powell, segretario di Stato statunitense, dichiarava al Consiglio di sicurezza dell’Onu: “Nonostante l’Iraq abbia detto che avrebbe collaborato senza condizioni con le ispezioni delle Nazioni Unite, in base alla risoluzione 1441 del Consiglio di sicurezza, ha minato il lavoro degli ispettori. Hanno fatto il possibile perché non fosse trovato nulla”.
Mentre affermava questa cosa, il segretario di Stato Usa ha mostrato una provetta. Secondo Powell, il regime avrebbe avuto in mano qualcosa come 500 litri di antrace, sufficienti a uccidere decine di migliaia di persone. Lo dimostrerebbero le testimonianze di fuoriusciti e la morte nel 1998 di 12 tecnici nell’esplosione dell’agenzia biologica.
Più o meno alle 5 di mattina, ora locale irachena, del 20 marzo 2003 iniziava la guerra in Iraq. Il paese fu liberato da una “coalizione di volenterosi”, come la definì l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri stati tra cui l’Australia, la Polonia, la Spagna e l’Italia.
L’intervento venne giustificato sulla base di un assioma mai dimostrato: la dittatura di Saddam Hussein era accusata di nascondere e sostenere militanti di al Qaida e possedere armi di distruzione di massa. Bush affermava in maniera perentoria: “per proteggere la libertà in America bisogna proteggere la libertà ovunque”.
In soli 21 giorni Baghdad venne conquistata e Saddam Hussein rimosso dal potere. Pochi giorni dopo, Hussein, venne impiccato come un agnello sacrificale. Poi, però, l’Iraq per gli States divenne un nuovo Vietnam. Dopo undici anni di Via Crucis, costata tremila miliardi di dollari e settemila morti, c’è piena anarchia. Dopo aver buttato la spugna, gli americani preparavano le valigie per tornare a casa. Qualcuno, però, gli ha rovinato la festa. Il gruppo terroristico Isil (lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), vicino ad Al Qaida, dopo aver provato ad abbattere Damasco sostenuti dalla monarchie del Golfo con scarsi risultati, sta accerchiando Baghdad. Le città nordirachene che sono, casualmente, quelle più ricche di petrolio, sono state occupate da coloro che dovevano liberare la Siria.
Ma, a proposito di laicità, è doveroso fare qualche precisazione. Saddam Hussein, poteva essere accusato di tutto tranne che di sponsorizzare movimenti integralisti. Il partito Bath, che lui guidava, era per definizione laico. Lontano mille miglia dal fondamentalismo islamico. In poche parole esso era l’unico argine contro gli apostoli della Sharia. Non dimentichiamoci che il suo vice era un cattolico caldeo: Tare Aziz. In pratica gli iracheni hanno divorziato dalla moglie rompiscatole per sposare la suocera. Un gran bell’affare!
Ma i paladini della Democrazia non demordono. Barack Hussein Obama mostra i muscoli per garantire la stabilità dell’area. Ma siamo proprio sicuri che gli States vogliono la stabilità del Medio Oriente? Anche chi non può essere accusato di antiamericanismo, è perplesso davanti alle politiche statunitensi. Alberto Negri de Il Sole 24 Ore afferma: “Gli Stati Uniti dovevano intervenire prima per spingere il primo ministro sciita Nouri al Maliki a tentare un compromesso politico con i sunniti, regolarmente esclusi dalla spartizione del potere politico e del petrolio. Adesso il rischio è di fare troppo poco e troppo tardi”.
Ma siamo così sicuri che la politica statunitense sia così sprovveduta da non comprendere le conseguenze di determinate scelte? Se mettiamo da parte l’incapacità di intendere e di volere, appare evidente che si cerca di seminare il caos. Una nazione ricca di materie prime è meglio indebolirla che invaderla.Vogliamo qualche esempio? Kosovo, Afghanistan, Iraq, Libia, Egitto. Credo che possano bastare. In più, Obama è più furbo di Bush. Al massimo manderà i bombardieri telecomandati, non certo i soldati. Massimo risultato, minimo sforzo. Insomma, droni non ci sono paragoni.
Salvatore Recupero
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