Dicevamo: blocco dei musulmani? Ma quando mai. Il decreto di Trump sull’immigrazione si limita a bloccare temporaneamente, per soli tre mesi, la concessione di nuovi visti ai cittadini di sette paesi: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, Yemen. Al di là di qualsiasi considerazione su questi Paesi, è tuttavia vero che in essi le ambasciate statunitensi non operano o operano in modo difficoltoso, con tutto quel che ne consegue in termini di omesso controllo su chi si mette in viaggio per gli Usa. Questo vale per musulmani, cristiani, atei o induisti: il criterio è politico, non religioso. È un blocco indotto da esigenza di sicurezza nazionale, quindi perfettamente dentro la legge Usa. Si sta discutendo, è vero, del fatto di poter introdurre anche un criterio religioso al fine di poter dare accoglienza alle minoranze perseguitate dall’Isis, ma per ora non se ne è fatto nulla (e se ciò avvenisse non si capisce dove sarebbe lo scandalo).
E allora il giudice federale Ann Donnelly, la nuova eroina dei democratici di mezzo mondo, che sperano di instaurare anche negli Usa il governo dei giudici già efficacemente instaurato da noi? L’intervento del magistrato, in realtà, non ha affatto intaccato il cuore del decreto di Trump, ha solo riguardato quel centinaio di persone già in possesso di un visto – quindi già controllate e autorizzate – che rischiavano di essere bloccate con logica retroattiva. Insomma, riguardava le poche persone trovatesi a entrare nel passaggio tra la vecchia normativa e quella nuova.
Giuliano Lebelli