Ankara, 30 mar. – L’Operazione Scudo dell’Eufrate è da considerarsi conclusa. A dirlo è Il Consiglio di sicurezza nazionale turco, guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan , che ha rivendicato il successo dell’operazione nel nord della Siria. Un’offensiva durata oltre sei mesi, iniziata lo scorso 24 agosto, nata con l’obiettivo di combattere gli jihadisti dello Stato islamico, liberare dall’Isis una parte del nord della Siria, sostenere l’avanzata del Esercito Libero Siriano e ostacolare l’espansionismo dei curdi siriani del PYD-YPG, appoggiati dagli Stati Uniti, e considerati da Ankara terroristi come i curdi turchi del PKK.
Il bilancio dell’operazione ha visto migliaia di jihadisti uccisi, insieme a oltre 200 curdi siriani. I turchi avrebbero perso 60 dei loro militari, caduti in battaglia. Da un punto di vista del successo militare contro gli islamisti dell’Isis i turchi hanno sostenuto i ribelli a liberare dai jihadisti alcune cittadine contese, fra cui Jarabulus, Al-Rai, Dabiq e Al-Bab, liberata lo scorso 25 febbraio. E proprio ad Al-Bab i turchi avevano subito, in precedenza, pesanti perdite.
Ancora non è chiaro se la Turchia ritirerà le sue truppe da oltreconfine. Tuttavia il premier turco Binali Yildirim non ha escluso altre operazioni militari di Ankara nelle zone di confine con la Siria. Intanto nella zona tra il sud est turco e il nord dell’Iraq, a maggioranza curda, nelle ultime 24 ore la Turchia ha lanciato nuovi raid aerei contro il Pkk. Stando a quanto dicono le forze armate turche sono stati distrutti 19 obiettivi, tra cui rifugi e depositi di armi, nella provincia turca di Hakkari e nella regione irachena di Zap.
Proseguono anche i preparativi per quello che si pensa dovrebbe essere l’attacco finale a Raqqa, capitale del sedicente Califfato. La Turchia non fa mistero di voler partecipare all’offensiva, ma a patto che non debba combattere fianco a fianco con i curdi. È assai probabile che la questione di Raqqa venga discussa oggi durante l’incontro tra il segretario di Stato Usa Rex Tillerson, in visita ufficiale in Turchia, e il presidente Erdogan. All’ordine del giorno anche l’estradizione del più acerrimo nemico di Erdogan, Fetullah Gullen, che Ankara ritiene essere la mente del fallito golpe dello scorso luglio.