Dopo tre anni in cui gli inquirenti indiani non hanno potuto depositare un capo di accusa (uno!), dopo aver tentato di utilizzare contro i due militari la legge indiana antiterrorismo che rovescia l’onere della prova a carico dell’accusato come nei processi medievali sulla caccia alle streghe, dopo aver ignorato due rogatorie internazionali della Magistratura italiana che chiedeva i documenti processuali… ancora le autorità indiane si comportano con boriosa protervia.
Ma la “debacle”, il disastro, è in carico dei tre governi italiani che hanno gestito la vicenda, e che invece di avvalersi degli strumenti del Diritto Internazionale, invece di appellarsi alle risoluzioni della UE, hanno voluto gestire la vicenda in modo cialtrone e buffonesco con un “volemose bene” puntualmente ricambiato a calci in faccia dalla controparte, e offrendo complici assist all’India quando questa la faceva troppo grossa. Anche pochi giorni fa abbiamo letto le dichiarazioni del nostro neo-ministro degli Esteri: a questa vicenda bisogna pensarci sempre ma parlarne il meno possibile. Ed ecco il risultato di questa astutissima linea di condotta.
La parola d’ordine in questi tre anni è stata “non bisogna indispettire gli indiani”, ce la siamo sentiti sussurrare continuamente. Ma serviva solo a mascherare una linea di condotta acquiescente al limite del ridicolo, finalizzata a salvaguardare chi aveva interessi economici in India, chi ha aperto fabbriche in India, chi ha portato in India produzioni storiche togliendole dall’Italia. Di chi ha fatto disoccupati qui per pagare i costi di produzione con poche rupie e rivendere in Europa pagato in Euro.
E a questo si aggiunge il disastro della siderurgia: 36.000 posti di lavoro, 34 miliardi di € di fatturato, il 2% del PIL nazionale, affossata spegnendo tutti gli altoforni nazionali (Terni, Piombino e Taranto) affossando l’economia di intere città, facendo migliaia di disoccupati e cassintegrati, e perchè? Per “vendersi” il mercato italiano dell’acciaio (27 milioni di tonnellate l’anno) a chi è disposto a pagare. Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, è in procinto di essere venduta al paperone dell’acciaio indiano Mittal, ma il 49% dei soldi li metteranno i contribuenti italiani, il 100% del potere di comando agli indiani, che produrranno in India quello che prima si produceva in Italia.
Nel mentre le autorità indiane continuano a sputacchiarci in faccia a giorni alterni, gloriandosi di fronte al mondo di poter prendere a calci un paese di saltimbanchi ormai piegati al punto di essere incapaci di reagire, a New Delhi come a Berlino, alla Merkel come a Mittal. Inchini e riverenze un tanto all’ora, diceva Trilussa. E una mancetta è pur sempre una mancetta, anche in rupie fa sempre comodo.
Luigi Di Stefano