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Nagorno-Karabakh, cessate il fuoco totale. Ecco perché è una disfatta per l’Armenia

by Eugenio Palazzini
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Roma, 10 nov – La guerra nel giardino nero del Caucaso si è conclusa, forse soltanto temporaneamente come storia recente insegna, con una disfatta per l’Armenia. Nella notte è stato raggiunto tra le parti, Erevan e Baku, un accordo per il cessate il fuoco con la mediazione della Russia. Ad annunciarlo è stato direttamente Vladimir Putin: “Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero lham Aliyev – ha detto il leader russo – hanno firmato una dichiarazione per un totale cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh (Artsakh in armeno, ndr)” a partire dalle 21 di ieri (mezzanotte di martedì, ora di Mosca, ndr). Le dichiarazioni di Putin sono arrivate tra l’altro dopo che ieri sera un elicottero russo Mi-24 è stato abbattuto nei cieli dell’Armenia, non lontano dal confine con l’Azerbaigian. Il ministero della Difesa di Mosca ha precisato che due membri dell’equipaggio sono morti e un terzo risulta ferito. Subito dopo dal ministero degli Esteri azero sono arrivate le scuse: il velivolo russo sarebbe stato abbattuto per errore. Un episodio che avrebbe potuto esacerbare gli animi e che invece non ha inciso sulle decisioni di fatto già prese.

Manifestanti occupano il Parlamento armeno

Non a caso le dichiarazioni di Putin sul cessate il fuoco raggiunto, sono state precedute da quelle del primo ministro armeno, che aveva annunciato il raggiungimento di un accordo “doloroso”. Definizione sin troppo eufemistica per descrivere una sconfitta a tutti i livelli, che ha generato una vera e propria rivolta a Erevan. Una folla inferocita di manifestanti, appena appresa la notizia del cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh, ha infatti occupato la sede del governo armeno nella capitale. Un’irruzione effettuata dopo che migliaia di persone si erano radunate davanti all’edificio governativo. “Non rinunciamo alla nostra terra!”, hanno gridato i manifestanti che chiedono adesso le dimissioni del premier Pashinyan e del suo governo.

Il presidente del parlamento Ararat Mirzoyan è stato malmenato e all’interno del Parlamento si è scatenata una violenta rissa tra manifestanti e deputati. Il ministero della Difesa di Erevan e lo Stato Maggiore generale hanno provato a disinnescare la tensione, spiegando che “è giunto il momento di fermare lo spargimento di sangue”, causato da un conflitto “senza precedenti per il numero di truppe e di armi coinvolte”. Mentre il primo ministro armeno ha provato a ricucire goffamente lo strappo consumato nelle ultime ore, invitando tutti i manifestanti a far ritorno a casa: “In questo momento difficile dobbiamo stare fianco a fianco”, ha scritto Pashinyan su Facebook. Con tutta evidenza però dopo la sconfitta militare, ora l’Armenia rischia una profonda crisi politica.

Esultano Azerbaigian e Turchia

Al contrario a Baku si respira un’aria di festa per quella che gli azeri considerano, non a torto, un’ampia vittoria. Il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, non ha esitato a definire il cessate il fuoco una “capitolazione” dell’Armenia e cogliendo l’occasione per gettare ulteriore benzina sul fuoco nel braciere già accesso di Erevan. “L’abbiamo costretto a firmare questo documento”, ha dichiarato Aliyev durante un discorso televisivo alla nazione, riferendosi evidentemente al premier armeno Pashinyan.
Come ovvio, oltre all’Azerbaigian festeggia la Turchia, principale alleato di Baku. “Il nostro caro Azerbaigian ha ottenuto un importante risultato sul terreno e al tavolo negoziale. Mi congratulo vivamente per questo successo benedetto. Continueremo a essere una sola nazione e un solo cuore con i nostri fratelli azeri”, ha cinguettato su Twitter il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu.

Ancora più enfatico il commento di Ibrahim Kalin, portavoce di Erdogan, che sempre via Twitter ha esultato così: “Il Karabakh ora è libero. Il Karabakh è Azerbaigian. La Turchia resterà a fianco dell’Azerbaigian sia sul terreno che al tavolo dei negoziati”. Mentre il presidente del Parlamento di Ankara, Mustafa Sentop, ha twittato: “Il legittimo diritto e la vittoria dell’Azerbaigian sono finalmente stati accettati dal nemico. L’Armenia ha dovuto arrendersi e ritirarsi dal Karabakh, che aveva occupato e dove aveva compiuto massacri. Con la vittoria dell’Azerbaigian si è chiusa una tragica pagina di storia”.

Cosa prevede l’accordo 

Sta di fatto che l‘Armenia è stata abbandonata al proprio destino dai governi europei, con la Russia che si è limitata a mediare un accordo che a ben vedere accontenta soltanto l’Azerbaigian. L’accordo prevede che gli armeni, in cambio della ritirata delle truppe azere da Stepanakert (capitale e principale città del Nagorno-Karabakh), restituiscano alcuni territori a Baku. Ma non è tutto. Nella regione contesa verranno inviati quasi duemila soldati russi e le parti belligeranti dovranno mantenere unicamente “le posizioni attualmente occupate”. Ciò significa che l’Azerbaigian annetterà i territori occupati durante questo conflitto, durato circa sei settimane.

Più nel dettaglio, come riportato anche sulla pagina Facebook del Fronte Europeo per l’Armenia, i principali punti dell’accordo sono questi:
– Schieramento di un contingente di 1.960 militari russi lungo la linea di contatto in Nagorno Karabakh e lungo il corridoio di Lachin.
– Erevan consegnerà a Baku gli ultimi tre distretti azeri che controlla ancora in Azerbaigian: Kelbajar, Gazakh e Aghdam. Si tratta di territori conquistati dall’Armenia durante la guerra del 1992-1994
– L’Armenia restituirà la regione di Kelbajar all’Azerbaigian entro il 15 novembre 2020 e la regione di Lachin entro il 1 dicembre 2020
– Nei prossimi tre anni, sarà realizzato un piano per la costruzione di un nuovo percorso stradale lungo il corridoio Lachin, fornendo comunicazione tra la città di Stepanakert e l’Armenia. Sarà però l’Azerbaigian a garantire lungo il corridoio Lachin la sicurezza del traffico di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni
– Sfollati interni e profughi ritorneranno in Nagorno Karabakh e nelle aree adiacenti sotto il controllo dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Eugenio Palazzini

 

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