Home » Terrorismo: i numeri del fenomeno “Foreign Fighters”

Terrorismo: i numeri del fenomeno “Foreign Fighters”

by Cesare Garandana
0 commento

20140812ForeignFightersUKRoma, 9 gen – Il raid effettuato alla sede dell’ormai tristemente famoso quotidiano satirico francese Charlie Hebdo ha riacceso in Europa la paura. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha convocato il giorno stesso un Comitato di analisi strategica Antiterrorismo, composto dagli esperti di antiterrorismo di forze dell’ordine e intelligence, per esaminare la situazione. Per fortuna il clima nel nostro Paese è meno caldo e non si evidenziano “segnali specifici” di azioni imminenti, ma non si deve certamente abbassare la guardia.

8a693e8c0546fc08652822cc895e065a-kpn-U10401339376300hBF-700x394@LaStampa.itLo stesso Alfano, in una intervista a Uno Mattina “In Italia abbiamo censiti 53 foreign fighter: conosciamo la loro identità e sappiamo dove si trovano”, aggiungendo che l’intenzione è di “colpire chi vuole andare a combattere nei teatri di guerra, non solo i reclutatori, vogliamo imporre un maggiore controllo di polizia su queste persone ed agire anche sul web, usato da chi si radicalizza”.

Ma chi sono, nello specifico, questi Foreing Fighters? Vediamo di fare il punto.

Iniziamo a definire cosa si intende con il termine. Una relazione sulla politica per l’informazione della sicurezza, redatta nel 2013 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, indica che i cosiddetti “Foreing Fighter” sono cittadini europei che rientrano nei loro Paesi di origine dopo aver combattuto in vari campi di battaglia. Questo fenomeno, conosciuto anche come reducismo, implica ovviamente un grosso problema sulla tematica della sicurezza.

Il fenomeno non è certo nuovo, senza scomodare lustri ed oblii del passato, basti pensare ai recenti conflitti in Iraq, Afghanistan, Libia, Somalia, Caucaso ed, ovviamente, in Siria.

Si stima che, ad oggi, sarebbero almeno 4.000 i cittadini europei arruolatisi in diversi gruppi jihadisti, tra cui ISIL, al-Nusra, Ansar al-Sharia o Ansar al-Dine. Tra questi ci sarebbero almeno 2.000 britannici, 930 francesi, 450 tedeschi, 300 svedesi e altrettanti belgi, ed un centinaio di italiani. In contraddizione con la stima del governo, l’autorevole rivista RID stima che di quest’ultimi 70-80 sarebbero già rientrati nel nostro Paese.

La loro maggiore pericolosità è ovviamente legata all’addestramento militare ed all’esperienza accumulati nei vari scenari operativi.
images (1)I cosiddetti “estremisti auto-radicalizzati” ed i terroristi improvvisati facilmente arruolabili dalla propaganda web di gruppi come ISIL è solitamente composta da sbandati e disadattati privi di addestramento e distanti da strutture organizzate degne di nota limitandone fortemente le capacità di azione. Questo ovviamente non vale in presenza di persone che rientrano in Europa dopo diversi mesi passati in fronti come l’Iraq o la Siria dove si è spesso in presenza di “personale ben addestrato, motivato e che ha una preparazione, anche solo di base, di tipo militare.” Ma che ha soprattutto una struttura logistica e sovente contatti sul mercato nero per il reperimento di un armamento efficace allo scopo.

La latitanza degli attentatori a Charlie Hebdo, nonostante alcuni goffi errori, potrebbe esser dovuta proprio al legame con una struttura organizzata dotata di un ottimo “sistema logistico”. D’altronde anche Pietro Batacchi, direttore di RID, evidenzia che “La visione dei primi video dell’attacco mostra attentatori molto determinati, freddi e con un evidente postura militare. Il commando, che indossa passamontagna e abbigliamento tattico (sotto il quale potrebbe celarsi anche un giubbotto antiproiettile), è coordindato nell’azione e si offre copertura a vicenda, mentre l’azione a fuoco è discriminata – spari singoli e non raffiche a casaccio.” Caratteristiche che fanno pensare a qualcosa di più di un semplice “scappato di casa”.

051105clichy4Chi può assicurarci che il terreno fertile della banlieu parigina, non abbia fornito un punto di appoggio per preparazione e fuga offrendo non solo un comprensorio di rifugi e strutture sicure ma anche di un insieme di membri di supporto tra cui potrebbero trovarsi anche, perché no, non solo ex reduci ma anche degli “estremisti auto-radicalizzati” usati per scopi secondari e logistici? Nessuno!

In condizioni simili non è certamente complicato per un personale sufficientemente addestrato trovare vie di fuga e “libertà di movimento”.

Il problema è annoso e non deve essere sottovalutato perché se le cronache recenti mostrano numerosi europei deceduti al fronte in nome di allah come ad esempio il genovese Giuliano Delnevo, morto ad Aleppo nel 2013, il giovane marsigliese Marc morto l’anno scorso nella fortezza IS di Rappa tra le fila del Fronte al-Nusra, evidenziano anche la loro capacità di effettuare azioni eclatanti nel nostro suolo.

imagesE non ci riferiamo esclusivamente alle famose e controverse torri gemelle: il fenomeno del reducismo ha infatti permesso l’attentato alla maratona di Boston dell’aprile 2013 ad opera dei fratelli Tzarnaev ed a Man Haron Monis di tenere in ostaggio molte persone all’interno di un caffè di Sydney. Ed ora anche la Francia ha il suo 11 settembre che sta continuando a mietere vittime in queste ore a causa degli echi dell’attentato che ancora non si sono spenti.

Ora media, talk show e cittadini spaziano da posizioni comico-complottiste a richiami alle crociate. Ma purtroppo c’è poco da scherzare e sicuramente non c’è spazio per protagonismi. Perché il problema non è da ricercarsi esclusivamente in Medio Oriente, ma anche a casa nostra. Dovremmo rivedere le nostre politiche interne ammettendo una volta per tutte che la finta integrazione paventata per anni non è che un castello di carte e che il buonismo in stile Mare Nostrum è un danno per tutti noi. Dovremmo rivedere tutta la nostra concezione della Difesa (che è tra l’altro un settore trainante dell’economia nazionale) smettendola una volta per tutte con un finto pacifismo, tanto inattuale quanto utopico, e con i continui tagli insensati che la stanno distruggendo.

Dovremmo rivedere la nostra politica estera riprendendo in seria considerazione il ruolo di “arbitri” del mediterraneo che, se non altro geograficamente, ci spetta evitando possibilmente di andare a combattere di volta in volta, sotto vessilli tutt’altro che italiani, gli ultimi baluardi di laicità in quelle terre.

Forse, prima di temere il nemico che viene da fuori dovremmo combattere quello interno. Trovarlo è semplice, basta guardarsi intorno, talvolta anche allo specchio.

Cesare Dragandana

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati