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Sochi val bene una grazia… ma anche due

by La Redazione
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sochiMosca, 30 dic – Vladimir Putin dà il via alla tregua olimpica. Ogni ostilità verrà sospesa in attesa delle prossime Olimpiadi invernali di Sochi. In pochi giorni ha liberato ben quattro prigionieri politici. Il magnate Mikhail Khodorkovsky e tre componenti della band punk Pussy Riot. Ma chi sono questi perseguitati politici, e perché l’Occidente aveva tanto a cuore la loro libertà? Analizziamo, in breve, le loro storie.

Cominciamo dal povero Mikhail Khodorkovsky. Già da giovane si fa strada in lui l’amore per la liberaldemocrazia. Per questo studia presso il Komsomol, l’organizzazione giovanile usata dal Pcus per selezionare i futuri leader sovietici. Nel 1992 mette in piedi la banca Menatep. Giovane precoce, nel 1993 riesce a farsi nominare da Boris Eltisn, nemmeno trentenne, vice ministro per l’energia e per il carburante. Due anni dopo, Khodorkovsky pagò 309 milioni di dollari per la Yukos (nel 2003 la stessa compagnia fu valutata 45 miliardi di dollari). Neanche Re Mida. Il suo impegno non si ferma all’arido mondo della finanza. Dà vita alla Open Russia Foundation per la difesa della democrazia, con la benedizione di Henry Kissinger e Jacob Lord Rothschild. Sentendosi le spalle coperte proverà a manovrare le elezioni del 2003 della Duma contro Putin. Non solo, ma venderà anche le azioni Yukos a grandi compagnie estere come Exxon Mobil e Bp. La sua intraprendenza gli sarà fatale. Viene arrestato per frode fiscale nel 2003 come Al Capone. Ma questo è solo il più insignificante dei suoi crimini. Il popolo russo non lo rimpiangerà. Il venti dicembre Putin decide di graziarlo.

Passiamo ora alle pasionarie Pussy Riot.

Un gruppo punk politicamente impegnato:  femminismo e diritti umani. Novelle amazzoni sempre con il petto in fuori.  Tre di loro Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alyokhina e Nadia Alyokhina decidono nel marzo del 2012 di irrompere durante una cerimonia religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore per esibirsi mezze nude contro Putin. Verrano, stranamente, condannate a due anni per teppismo e istigazione all’odio religioso. La Comunità internazionale si è scandalizzata. L’avessero fatto in una sinagoga di Tel Aviv i commenti sarebbero stati diversi. Oltre alle loro grazie, le rivoltose punk hanno, tempo fa, esposto una bandiera di un’associazione per i diritti umani, l’Otpor.

Questa è un’organizzazione legata a George Soros che, per dirla con le parole di questo professionista della speculazione, si limita a “dare una spinta alla Storia”. Il motto: “Più mercato e meno stato”. Oppure, come spiega Ivan Marovic, responsabile dei giovani del movimento: «La nostra idea è quella di utilizzare le strategie del marketing commerciale (corporate branding) in politica. Il movimento deve avere un dipartimento marketing. Noi abbiamo adottato la Coca-Cola come nostro modello». Il ventitré dicembre, il cattivo Putin libera anche le Pussy Riot.

Ma cosa unisce queste due storie (un oligarca e tre esibizioniste pagate da uno speculatore)?

È il filo rosso del mondialismo che annienta le identità in nome dell’omologazione. Un mercato che distrugge la ricchezza delle Nazioni. Sono davvero questi gli eroi del Mondo Libero? Storie ordinarie di un’Europa in declino.

Salvatore Recupero

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