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Caso Telecom: l’Italia in fila al monte dei pegni

by La Redazione
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telecomRoma, 30 dic – Per le feste di Natale, a casa Telecom è arrivato lo zio d’America. Forse con un po’ di anticipo. Siamo venuti a conoscenza del lieto evento con un lancio di agenzia della Reuters: “Roma, 16 dicembre, ore 09:17: BlackRock risulta titolare al 15 dicembre di una partecipazione del 7,789% con diritto di voto, compresi gli American Depositary Receipts. Nel dettaglio, si tratta di 1.044.240.287 azioni e di 80.618 ADR e, in vista dell’assemblea del 20 dicembre chiamata ad esprimersi sulla revoca del Cda in carica, sono state registrate 796.691.186 azioni”. La BlackRock ci porta un bel regalo. Finalmente c’è chi è disposto ad investire nel Bel Paese. Qualcuno timidamente afferma che così la BlackRock, maggiore casa d’investimento al mondo, non sia lontana dalla soglia del 10%. È proprio vero che a Natale diventiamo tutti più buoni. Nonostante Moody’s abbia definito i titoli Telecom come spazzatura, ossia “junk”, il Fondo americano ha aumentato la sua quota in questa società così debole dal punto di vista patrimoniale. Qualche complottista ha fatto notare che BlackRock è azionista di Moody’s. E quindi è come se l’acquirente dovesse stabilire il prezzo del bene acquistato. Ma gli italiani possono star tranquilli, a vigilare sul mercato ci sono fior di patrioti.

Giuseppe Vegas, presidente della Consob (La Commissione nazionale per le società e la Borsa) ha fatto tremar le vene e i polsi agli eventuali speculatori. Ha affermato: “Qui c’è un gioco poco trasparente, un metodo alla Pearl Harbor: prima bombardi e poi dichiari guerra. Stiamo lavorando. Ci sono diverse iniziative già avviate”. Mentre i vigilantes italiani del libero mercato mettono il cartello “lavori in corso”, la Consob americana già sapeva tutto. Meno male che sono i nostri alleati.

Ma perché tanta attenzione su una società privata che opera sul mercato. È forse solo un problema di regole che tutelano gli azionisti? Anche. Ma, soprattutto, parliamo della compagnia che gestisce la rete per il traffico dati e voce in Italia. Gli impatti che ci saranno sulla privacy e sulla sicurezza nazionale, sono sotto gli occhi di tutti. Che fine farà Telecom Italia, vaso di coccio tra i due vasi di ferro Telco e Blackrock? La domanda è retorica. Quindi, non è un semplice problema di comunicazioni con la Consob. Forse, però, come ricordato su questo sito, l’atteggiamento prevalente è quello di Enrico Letta. Il nostro Presidente del Consiglio aveva definito l’affare Telecom come una mera questione di una realtà aziendale privata dove lo Stato non sarebbe dovuto intervenire. Ma chi comanda? Il nocciolo duro del Consigli d’Amministrazione è in mano a non meglio identificati investitori istituzionali esteri che hanno in mano il 46% delle azioni. Poi c’è la Teleco S.p.A., holding italo-spagnola composta da Mediobanca (11,57%), Assicurazioni Generali (30,67%), Intesa San Paolo (11,57%) e Telefònica (46%). Il venti per cento più altre piccole quote è in mano ad altri investitori italiani.

In questo bel minestrone, come si è detto, non mancano i Fondi Sovrani. Ma cosa sono? Parliamo del più importante. La BlackRock è un grande fondo di risparmio che partecipa nei maggiori gruppi quotati in Borsa, sposta capitali da uno Stato all’altro e possiede le società di rating. In questo caso entrambe le principali: Moody’s e S&P. Sono loro che decidono se mettere o togliere soldi in questo o quel paese, attraverso queste o quelle banche, incidendo con i patrimoni amministrati su quote di Pil tali da condizionare gli stessi governi nazionali. Naturalmente fanno anche le politiche dei cambi e dei crediti che le loro banche adottano verso imprese e famiglie. Come vedete siamo in buone mani. Praticamente, un’associazione di filantropi. Ma, se metti in vendita qualcosa difficilmente si può scegliere l’acquirente. Ma questa privatizzazione è solo l’emblema di ciò che è avvenuto e avverrà.

Ma dopo la privatizzazione di Telecom ancora qualcuno pensa di far cassa con quello che è dei gioielli di famiglia. Colpa del debito pubblico? Eppure più vendiamo più ci indebitiamo. Nel 1992, quando le principali partecipate statali furono messe sul mercato, il debito pubblico era pari a 959.713 mln di euro, con un rapporto debito/Pil pari a 115%. Oggi il debito è pari 1.897 mln di euro, con un rapporto debito/Pil del 120%.  Qualcuno dirà che è colpa della corruzione o delle spese della politica. Ma se pensiamo che nel 1981 il rapporto debito/Pil era la metà, i conti non tornano. O siamo diventati tutti corrotti ed evasori negli ultimi quaranta anni o c’è qualche evento a cui non è stata data la giusta rilevanza. Lo stato con la privatizzazione delle banche è costretto a chiedere il denaro in prestito e a restituirlo con tassi da usura. Ma per questo dobbiamo ringraziare Beniamino Andreatta, il maestro di Enrico Letta, che nel 1981 sancì in combutta con Carlo Azeglio Ciampi la separazione tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro. In quest’occasione abbiamo perso la sovranità monetaria. La Banca d’Italia cessa, di fatto, di essere Ente di diritto pubblico per diventare una Società per Azioni.

Insomma, lo Stato si metta in fila al monte dei Pegni perché non è sovrano. Arrestare qualche assessore con la mazzetta in mano non servirà a nulla se abbiamo lasciato le chiavi di casa ai nostri usurai. In questo schema l’acquirente impone il prezzo al venditore. Chissà chi ci guadagnerà. La prossima volta però cari americani prima di comprare qualche azione in più in Italia fate un colpo di telefono a Vegas. Così lui pensa di essere utile e tutti possiamo dormire sonni tranquilli. Una telefonata allunga la vita.

Salvatore Recupero

 

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