Nel primo pomeriggio si è conclusa la disputa con l’annuncio delle dimissioni da parte dell’artefice della fallimentare politica “zero problemi con i vicini”, Davutoglu ha dichiarato che la decisione è stata presa “non per scelta, ma per necessità”. Il primo ministro uscente ha poi aggiunto “Tornerò alla vita accademica. Dopo consultazioni con il nostro presidente e con le persone di cui mi fido, sono arrivato alla conclusione che un cambiamento nella posizione di leader del partito e di primo ministro è la cosa migliore”. Davutoglu quindi non si candiderà per la guida del partito nel prossimo congresso dell’AKP, previsto tra la fine di maggio e gli inizi di giugno.
Circolano già i nomi dei suoi possibili successori, tra i favoriti ci sono il Ministro dei Trasporti, Binali Yildirim, il Ministro dell’Energia nonché genero di Erdogan, Berat Albayrak e il Ministro della Giustizia, Bekir Bozgag. I primi segnali di una crisi erano apparsi nel fine settimana scorso, quando il comitato centrale dell’AKP ha ritirato a Davutoglu il diritto di nomina dei leader distrettuali, mentre era in Qatar per una visita ufficiale. I motivi della rottura sono da ricercare anche nella gestione dell’emergenza rifugiati, che ha portato all’accordo con l’Unione Europea, e della guerra in Siria. A cui si aggiungono le altalenanti trattative per il cessate il fuoco con i curdi e la pressione esercitata sulla stampa. Scaricato l’ex delfino Davutoglu, che rappresentava l’ala moderata interna al partito, ora il presidente Erdogan si prepara al definitivo accentramento di tutti i poteri esecutivi nelle sue mani.
Guido Bruno