Roma, 5 mag – I palestinesi? “Una minaccia a prescindere”. La scelta degli obbiettivi? “Si sparava a caso”. Sono alcune delle clamorose rivelazioni che gettano un’ulteriore ombra di discredito sull’operazione “Margine di protezione” lanciata dall’esercito israeliano contro Gaza l’8 luglio 2014 e costata la vita a più di 2200 palestinesi, tra i quali quasi 600 bambini.
La natura “chirurgica” dell’azione è stata già messa in discussione da diversi analisti, ma le rivelazioni dell’ong israeliana Breaking the Silence aprono addirittura scenari inquietanti.
Basandosi sulle testimonianze anonime di 60 tra soldati e ufficiali impiegati nell’operazione, il rapporto sta facendo discutere in Israele: “Secondo l’ong, le testimonianze sono rivelatrici di un principio generale che ha governato tutta l’operazione militare: un minimo di rischio per le forze israeliane anche se ciò implica perdite pesanti fra i civili”, scrive il quotidiano Haaretz.
Secondo il rapporto, “le truppe israeliane sul terreno erano istruite per considerare ogni persona vivente a Gaza come una ‘minaccia’ e per non fare economia di munizioni”.
Inoltre “i tank facevano fuoco a caso o per vendetta contro dei palazzi senza sapere se si trattava di obbiettivi militari o se contenevano dei civili”.
Di conseguenza, il diritto internazionale, che prescrive di distinguere con precisione obbiettivi militari e civili, sarebbe stato sistematicamente calpestato.
Giuliano Lebelli