Roma, 10 lug – Dopo la tragedia, il lieto fine. Tutti tratti in salvo, i piccoli calciatori del Cinghiali. Per più di due settimane, prigionieri nella grotta di Mae Sai, in Thailandia. Nonostante le condizioni metereologiche sfavorevoli, i soccorritori hanno portato a termine, con successo, un’operazione dal respiro internazionale. Segnale positivo, la prima sirena d’ambulanza che annunciava l’estrazione dei bambini ancora bloccati. Con conseguente, trasferimento in ospedale. Buone le loro condizioni di salute: parlano, hanno appetito, riescono a camminare.
“Avevo nostalgia di casa”, la frase più pronunciata. I piccoli, ora ricoverati, hanno potuto salutare i genitori ma solo dietro una lastra di vetro: ancora alto il rischio di infezioni polmonari. La luce in fondo al tunnel: o meglio, fuori da quella grotta maledetta che ha intrappolato i 12 bambini e il loro allenatore. E inghiottito, per sempre, il soccorritore volontario Saman Kuman, di 38 anni.
L’ex ufficiale della Navy Seal, l’unità di sub della Marina thailandese, è morto durante i soccorsi: fatale il debito d’ossigeno che lo ha colto, mentre calava negli abissi della grotta. In tutto rispondente all’archetipo di Eroe, Kuman aveva rinunciato alle ferie per rendersi utile: immolando, la sua stessa vita. Sacrificio non vano: così come la cultura omerica insegna, l’Eroe non scompare con la morte fisica. Ma continua, dalla sua tomba (hērōion) a conferire potenza ed energia sulla terra dei vivi. Onore all’Eroe Saman Kuman e al suo prode altruismo.
Chiara Soldani

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