Roma, 9 nov – Festeggiate amici commentatori e tifosi da tastiera. Il 7 novembre abbiamo goduto di una radiosa ed assolata giornata d’autunno, data che nel 1917 dava i natali alla rivoluzione del proletariato mentre nel 2020, poco più di cento anni dopo, alla presidenza Biden degli Stati Uniti d’America. Brogli? Non brogli? Voto postale e hacker di +Europa? Non importa in realtà, è deleterio se non patetico. Sembra di sentire capovolta a distanza di quattro anni la cantilena e il piagnisteo della sinistra mondiale e nostrana offesa dalla vittoria di the Donald.
Esportare la democrazia negli Usa
Ricorso o non ricorso Trump è stato sconfitto, almeno fino a prova contraria. Il clima delle elezioni è stato quella da repubblica delle banane, certo, ma quali elezioni sono così limpide da poter essere passate tranquillamente ad una cartina tornasole senza paura di trovare scorie? Questa è la democrazia baby, verrebbe da dire a chi piange brogli e voti scomparsi. Se sei la Bielorussia o l’Ungheria rischi l’invasione, se sei gli Usa no. È lapalissiano, anche perché chi dovrebbe invadere il continente americano per esportare democrazia, noi? Noi che non riusciamo nemmeno a riprenderci diciotto pescatori dalla Libia? Noi quelli dei Marò in India? Per carità. Se penso di dover essere difeso da quelli che tornano a casa in treno con mimetica e borsa ventiquattr’ore mi viene da piangere. Ovviamente si tratta di una sconfitta virtuale, che non è stata quella bordata al populismo predetta dai media occidentali, i veri grandi sconfitti di questo sette novembre. Infatti, la mappa tracciata dal voto è quella di una nazione spaccata e polarizzata, in un clima che non ha niente da invidiare a quello di un pre-guerra civile e che ci fa sognare vedendo unito e risoluto quel deep south tanto schernito e vilipeso dalla storia e sempre al centro del bersaglio del movimento Black Lives Matter. Una mappa che ancora una volta riconferma quali sono i bacini di voto: a Trump la classe media ed operaia del midwest e del sud, a Biden le metropoli della costa orientale ed occidentale, patria di Hollywood e della Silicon Valley.
L’Europa ha poco da festeggiare
E l’Europa che fa? Intanto i nostri amati leader, quelli che secondo alcuni dovevano guidare il riscatto dei popoli europei contro la tirannide Trump, sono letteralmente in brodo di giuggiole. Gentiloni si abbraccerebbe da solo (anche perché sennò chi lo abbraccia?), Renzi ha trovato il suo zio d’America, Conte ha già annunciato il rafforzamento del patto atlantico, Merkel e Macron sono pronti alla stracollaborazione, Bonino e +Europa probabilmente hanno stappato lo champagne mentre i media, chi più chi meno, esultano per il neo-eletto Joe Biden e per la sua paladina molto femen Kamala Harris. Era questa l’Europa che avrebbe dovuto sviluppare un’alternativa al blocco statunitense? Se pensate di sì probabilmente vi siete lasciati illudere da una semplice reazione di stizza alla presidenza Trump. Una reazione che però non ha mai contestato il regime militare, economico e sociale che la Repubblica a stelle e strisce rappresenta.
Il monito di Assad
Cambia presidente non sistema e valgono oggi, pesanti come macigni, le dichiarazioni del presidente siriano Bashar Al Assad giunte dopo le affermazioni di Donald Trump sulla volontà di assassinarlo:“La politica americana dalla Guerra Fredda, e anche dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino ad oggi, è una politica di egemonia, di colpo di stato, di assassinii e di guerre. Quindi, questo è normale, Trump non ha detto nulla di nuovo. Al contrario, dobbiamo riconoscere che Trump ha un merito importante: sta smascherando il regime americano. Per noi era già stato scoperto, ma si nascondeva dietro alcune belle maschere, come la democrazia, i diritti umani e altre cose simili. Trump è franco, dice: “Questo è quello che facciamo”. Gli Stati Uniti non accettano partner nel mondo, e di conseguenza non accettano Stati indipendenti, compreso l’Occidente. L’Occidente è un satellite degli Stati Uniti, non il suo partner. Questo è il problema con gli americani: non accettano nessun individuo che agisca nel migliore interesse del suo Paese, nessun individuo che rispetti sé stesso o mantenga una decisione nazionale indipendente”.
Trump almeno era schietto
Quindi, possiamo senza dubbio ringraziare Trump, quantomeno per la schiettezza di chi non nasconde le sue intenzioni dietro ipocriti e falsi propositi di libertà (vedere Nobel per la pace a Barack Obama). Ma in fondo, oltre l’apprezzabile sincerità, cosa doveva cambiare per noi, per l’Europa e per il mondo, con la presidenza Trump? Dare il culo alla Russia e alla Cina invece che agli States? In fondo il problema non sono mai stati gli Stati Uniti in quanto tali. Non è mai stata contestata la volontà egemonica esercitata con la coercizione e la violenza, ma soltanto chi la esercitava in quel momento. Trump è troppo schietto, meglio un Obama o una Clinton, meglio Biden e la Harris, apostoli liberal che ti sorridono davanti solo per incularti meglio da dietro. Ma strigni strigni, come si dice a Roma, la musica è la stessa e l’Europa che in questi quattro anni ha alzato (pochissimo per inciso) la cresta è sempre la stessa prostituta che ora torna a baciare gli stivali sporchi di sangue dello stesso invasore. Bentornata cara vecchia Unione Europea, la stessa sorta dalle macerie fisiche ed umane del 1945.
L’Europa solo un’espressione geografica
Un sincero grazie a Joe per averci ricordato una tragica verità: l’Europa è solo un’espressione geografica, ora come semplice Asia occidentale, ora come semplice colonia d’oltremare. È una dura verità che però deve invitarci a riflettere e conseguentemente ad agire. Ed è strano che un siffatto ragionamento debba partire dalle parole di Lenin, apostolo della rivoluzione bolscevica, che affidò il 23 agosto 1915 al libretto Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa: “…gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico sarebbero o impossibili o reazionari”. Se non cambia il sistema è davvero auspicabile l’Unione Europea? Chi dovrebbe guidarla, una Banca Centrale? Quali élites, quali entourage, dato che siamo in vena di lessico da telefilm americano. È vero, Trump per la prima volta ha messo a nudo l’ipocrisia degli Stati Uniti ma a che pro cavalcare verso gli Stati Uniti d’Europa? Cosa cambierebbe sostanzialmente? Nulla, come non cambierebbe l’Italia con un capitalismo mitigato dalla costituzione. Ciò che ci pone davanti, nel 2020, la vittoria Biden è il fallimento, o se volete la vittoria (perché fallimento presuppone che ci sia stata una forma positiva), della democrazia liberale e parlamentare, mai stata in grado di rappresentare nessuno che non fosse l’interesse del capitale.
Le parole di Lenin
Ancora Lenin in Stato e rivoluzione (sì, oggi è da rispolverare): “Parlare di democrazia pura, di democrazia in generale, di uguaglianza, libertà, universalità, mentre gli operai e tutti i lavoratori vengono affamati, spogliati, condotti alla rovina e all’esaurimento non solo dalla schiavitù salariata capitalistica […] mentre i capitalisti e gli speculatori continuano a detenere la “proprietà” estorta e l’apparato già pronto del potere statale, significa prendersi gioco dei lavoratori e degli sfruttati”. Che senso ha parlare di stato fondato sul lavoro se il lavoro è consegnato mani e piedi alle multinazionali, che senso ha commentare le elezioni americane quando siamo piegati alla logica dei mercati, che senso ha parlare d’Europa quando è l’Unione Europea la sua prima nemica? Ci prendiamo in giro da soli se pensiamo che Trump e/o Salvini sono l’alternativa, se pensiamo che la democrazia e/o l’Unione Europea possono essere migliori di così. È una dura lezione per noi, perché la sinistra ha già palesato da tempo in quale schieramento gioca, mandando apertamente a quel paese i propositi rivoluzionari del comunismo (purtroppo non nella direzione tracciata dalla terza via italiana), quindi non è in vena di lezioni: semplicemente non gli servono perché sa già cosa fare e lo sta facendo (vedi lockdown imminente). Non possiamo abbandonare il campo rivoluzionario retrocedendo a fare tifoseria da stadio, che ogni quattro anni si limita a commentare la partita. Dobbiamo demolire lo stadio in cui si gioca. Abbiamo ringraziato Trump per la sincerità del suo mandato, ora ringraziamo Biden per averci riportato alla realtà. Se è lui il presidente, sappiamo già tutto.
Sergio Filacchioni
3 comments
Miglior commento di questo non l’avevo ancora letto. Complimenti!
Su una cosa dissento (per ora ma può darsi che gli eventi futuri daranno ragione all’autore dell’articolo): “i media occidentali come i veri grandi sconfitti di questa elezione”. Infatti se Biden dovesse essere eletto nonostante i brogli acclarati, allora avremmo non soltanto la vittoria dei media ma il loro consolidamento come organo politico di fatto (una specie di ministero della propaganda costituzionalmente nascosto). E quindi bye bye democrazia, ma so per chi ha gli occhi per vederlo..
Infatti è proprio lo stadio il problema
Simon & Garfunkel lo avevano già capito mezzo secolo fa.
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Sitting on a sofa on a Sunday afternoon,
Going to the candidates’ debate
Laugh about it, shout about it
When you’ve got to choose
Every way you look at this you lose
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Uno dei migliori e piu lucidi articoli che abbia letto. Gli Europei sono stati “riprogrammati” al livello estremo dello mancanza di midollo spinale. Si illudono di poter conservare la liberta’ senza combattere.