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Via della seta, i dubbi sono molti. Ma l’Italia fa bene a darsi da fare (e a non ascoltare Macron)

by Lorenzo Zuppini
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Roma, 26 mar – Prato è la città simbolo della pseudo integrazione del mondo lavorativo cinese in Italia. Potremmo fare un servizio al giorno sullo sfruttamento brutale dei lavoratori, anche bambini, stipati nelle fabbriche dove vivono e lavorano simultaneamente e da dove escono prodotti qualitativamente osceni che verranno piazzati sul mercato a un prezzo insostenibile per le aziende italiane che invece rispettano le regole sostenendone i relativi costi.

Il problema della Cina e dell’immigrazione da lì proveniente è l’incapacità di adeguarsi all’insieme di norme del lavoro che caratterizzano l’Italia e l’Europa. Da questo punto di vista, i cinesi non si pongono in una posizione di parassitismo rispetto allo Stato sociale, ma lavorando a quelle condizioni essi operano una concorrenza sleale nei confronti dei nostri imprenditori. Lo scrisse Edoardo Nesi nel suo Storia della mia gente, ossia il racconto del declino della classe industriale italiana pratese che dagli anni del boom economico si è vista massacrata di tasse e di concorrenza sleale che non trovava freno nei trattati internazionali. Ed è in questo contesto di sostanziale anarchia e forte pressione sui nostri imprenditori che si colloca il memorandum tra Italia e Cina sulla Nuova Via della Seta, ossia quella bozza d’accordo intercorrente tra lo Stivale e il Dragone e del quale si è fatto un gran parlare.

Con la Cina la concorrenza è insostenibile

Gli scettici si mostrano dubbiosi per la tendenza della Cina a esportare beni e a non importarne più di tanti. Il saldo dell’Italia, in questo senso, è negativo. Un fiume in piena di beni prodotti alle condizioni di cui tutti sappiamo invade costantemente il nostro mercato, e dall’interno la situazione è quella presentataci dal contesto pratese. Si tratta di un genere di concorrenza assolutamente insostenibile per chiunque non voglia o non possa trattare i propri dipendenti come degli animali. Dunque un accordo che riguardi (anche) il commercio tra i due paesi non potrà che render migliore questa situazione di confusione e di danno oggettivo sempre e in un’unica direzione: la nostra.

Il punto è che peggio di così non potrebbe andare, e nessuno su questa terra può pensare di far rinsavire i cinesi per quanto riguarda la tutela dei diritti dei lavoratori. Per loro non è un punto all’ordine del giorno e lo fanno in Italia senza alzare grandi polveroni, senza inscenare manifestazioni grottesche cui siamo stati abituati dagli altri tipi di immigrati. I cinesi se ne sbattono allegramente di tutto questo e tirano avanti per la loro strada. Ma l’Italia non è l’Africa, e l’Italia non potrà essere colonizzata pezzo per pezzo come sta avvenendo laggiù. Questo memorandum renderà solamente più nitido un rapporto sbilenco già esistente e che, a oggi, nessuno ha saputo raddrizzare in nostro favore.

La ramanzina ipocrita di Francia e Germania

Buffo che la ramanzina su tutto ciò arrivi da quei soloni che un paio di mesi fa si sono riuniti ad Aquisgrana per siglare un patto bilaterale che porrà Francia e Germania in una posizione di supremazia nel contesto europeo. Alla faccia del rispetto e dell’uguaglianza delle posizioni e delle istanze. E nonostante altri tredici paesi abbiano siglato accordi simili con la Cina, l’Italia dovrebbe astenersi dal farlo perché i cugini d’Oltralpe si ingelosiscono se conquistiamo una fetta troppo ampia di autonomia commerciale. È assai probabile che questo evento sia inviso da molti poiché evidenzia come un Paese possa ancora oggi guadagnarsi spazi di sovranità all’interno dei quali muoversi, creando nuovi e proficui rapporti con super potenze emergenti.

Anche perché la Cina ha invaso il mercato europeo coi suoi beni e coi suoi standard di produzione quando già la voce dell’Europa si sostituiva a quella dei singoli Stati, e dunque non esiste motivo per preferire l’intervento degli Juncker a quello del nostro Mattarella. Il quale, va comunque sottolineato, ha garantito l’equilibrio dei rapporti con altri paesi come gli Stati Uniti, il cui presidente Trump, da tempo combatte la giusta battaglia dei dazi con la Cina per difendersi fra le altre cose anche dal furto delle proprietà intellettuali, si è sempre detto amico del governo gialloverde.

L’Italia fa bene a darsi da fare

Insomma, tra rimanere a guardare impotenti e darsi da fare entrando in maggior intimità con Xi Jinping, siamo sicuri che la prima sia in assoluto la migliore ipotesi? Anche perché la Cina, che lo si voglia o no, esisterà e diverrà sempre più potente, proseguendo imperterrita nella violazione dei più basilari diritti dei lavoratori, facendo vivere i cittadini in uno smog degno della Londra ottocentesca e ripropinandoci le solite bacchette al posto delle posate. È gente che di passi indietro non ne fa, e la democrazia non la si esporta facilmente. Tanto vale riconoscere il principio di realtà, e nel frattempo goderci la faccia di Macron.

Lorenzo Zuppini

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