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SEI ANTIFASCISTA?… E ALLORA SEI ANTI-ITALIANO

by Redazione
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fascismo

La coincidenza di aver avuto dall’ottobre 2022 un governo di destra, i cui rappresentanti sono in parte eredi di Giorgio Almirante, a cento anni esatti dalla Marcia su Roma, è stata per la Sinistra italiana la materializzazione di un incubo.

Quest’ultima è stata costretta a gettare la maschera e a mostrare la sua vera natura, cioè quella di una forza eversiva, che ha sempre abusato della democrazia per imporre le sue idee e per detenere il potere, anche in maniera illegittima. Si è scatenata così una potenza di fuoco mediatica e propagandistica, avente nei giornalisti d’area la sua punta di diamante, che consiste, ormai da due anni a questa parte, in una vera e propria ‘caccia al fascista’ di turno e in un’ossessione patologica verso la storia del Ventennio, raccontata in maniera tendenziosa e mistificata.

Ne è un esempio il libro di Aldo Cazzullo “Mussolini il capobanda” (Mondadori 2022), una ricostruzione storica, a tratti surreale, del Fascismo e della figura del Duce. Oltre al sottotitolo, ‘Perché dovremmo vergognarci del fascismo’, il cui tono paternalista e moraleggiante vorrebbe ricordare, per l’ennesima volta, agli italiani di «non aver ancora fatto i conti col passato», è la definizione di Mussolini stampata a caratteri cubitali sulla copertina ad essere inverosimile.

Cazzullo, infatti, si costruisce un avversario di comodo, su misura per la narrazione che ha in mente, estrapolando una frase dal discorso del Duce pronunciato il 3 gennaio 1925 – «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io ne sono il capo!» – e, una volta creato il mostro, ha gioco facile a stenderlo al tappeto ogni volta che vuole.

Nel 2024, però, dopo decenni di storiografia, non è accettabile che il Fascismo venga definito “una banda di delinquenti” guidati da un uomo spietato e cattivo, stupratore, testa calda, cane da guardia dei padroni, che usa frasi da bandito “in pieno stile mafioso”, mentre gli squadristi sono dipinti come dei “criminali di professione”, dediti all’alcol e alle droghe, praticamente dei pazzi, simili ai suprematisti del Ku Klux Klan!

Peccato che nel raccontare tutto ciò vengano tralasciati alcuni particolari, come – tanto per dire eh – il clima di guerra civile strisciante innescato dalle occupazioni delle fabbriche, da parte dei socialisti, durante il Biennio rosso 1919-1920; la volontà di quest’ultimi di ‘fare come in Russia’, strage della famiglia reale compresa; la violenza delle Leghe rosse nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale.

No caro Cazzullo (e cara preside Savino), il Fascismo non fu una masnada di teppisti da strada in stile ‘Arancia meccanica’, ma nasceva da una generazione di uomini che avevano fatto e vinto una guerra mondiale (la ‘trincerocrazia’) e, una volta tornati a casa, si videro offesi e scherniti da Sindaci socialisti che disprezzavano il tricolore e issavano ai balconi dei Municipi la bandiera rossa bolscevica. Lo squadrismo fascista fu una reazione al pericolo di una deriva sovietica dell’Italia ed era sempre rivolto contro la violenza social-comunista e contro le sue strutture di potere (le Case del Popolo), centri di sovversione e illegalità.

No, i socialisti non erano i “buoni” e la Sinistra di allora non fu vittima di una congiura politica ordita dal Re e dai militari, complici di Mussolini e del suo “esercito da operetta”. Certo, il futuro Duce fu un rivoluzionario, ma chi non lo era in quel contesto, in cui la violenza come strumento di lotta politica era stata ormai sdoganata da quattro anni di conflitto mondiale? Anche Giacomo Matteotti fu un estremista e agitatore politico, nonostante la retorica di Scurati e la stucchevole interpretazione di Alessandro Preziosi.

L’intera parabola del Fascismo è raccontata con toni da farsa, solo per avvalorare la tesi secondo cui esso è stato fallimentare sotto ogni aspetto: Mussolini era un incompetente (anche di arte!), megalomane e narcisista, che prepara la Seconda guerra mondiale fin dal primo anno di governo, addirittura spingendo Hitler contro la Russia; la classe dirigente fascista è una banda di mediocri, ottusi e xenofobi; quota 90 fu una scelta sbagliata, mentre l’IRI una fonte di clientelismo, sprechi e corruzione; le bonifiche si trasformano in degli esperimenti chimici contro la popolazione; il mito di Roma è solo un mito di cartapesta e l’Impero un’impresa fuori tempo massimo; insomma, la vita sotto il Fascismo è una vita ridicola e la sconfitta nella guerra meritata

Non sfugge ovviamente a questo racconto nemmeno il tragico biennio della guerra civile. I repubblichini, quando non descritti come dei fanatici, sadici e delinquenti comuni, sono nel migliore dei casi dei lobotomizzati che combattono per la “bella morte” (Gianni Oliva docet), mai uomini e giovani – sì, anche tra i fascisti c’erano ragazzi ventenni, non solo tra i partigiani – che hanno combattuto con consapevolezza e sacrificio per l’Italia. E descrivere la morte di Mussolini come fa Raffaele Di Placido (un biologo marino!), ridotto a un «corpo floscio, tremante e impaurito», dileggiato persino nella copertina del libro, a testa in giù come a Piazzale Loreto, rappresenta l’ultimo atto – come il film cult del 1974 – di una mistificazione da storici della domenica.

Ora, se tutto ciò riguarda i fatti realmente accaduti, la radice di quello che si potrebbe definire “antifascismo culturale” è da ritrovare nel libello scritto da Umberto Eco intitolato “Fascismo eterno” (1995). In esso il movimento creato da Mussolini viene descritto come un contenitore confuso di idee, senza filosofia e sgangherato dal punto di vista politico e ideologico; nonostante questo, però, rappresenta l’archetipo di tutte le successive dittature di destra – anzi – di ogni governo di destra (anche quelli eletti democraticamente) in quanto «il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti e lo si potrà sempre riconoscere per fascista». Affinché la nozione di fascismo sia considerata generale e sempre valida, Eco costruisce, in malafede, un meccanismo di ‘decrescenti similarità’ per cui basta che un aspetto dell’Ur-Fascismo sia presente, per far coagulare una «nebulosa fascista». Ma quali sono questi aspetti?

Se la maggior parte di essi descrivono il profilo antropologico del fascista ‘medio’, facendolo apparire un cavernicolo ottuso e senza cervello – in quanto anti-illuminista e incapace di possedere cultura, intollerante e complottista, guerrafondaio, razzista e sessista, populista e anti-democratico – è nel “culto della Tradizione” che si annida il virus del fascismo, in tutto ciò che puzza di ‘sangue e suolo’ e di passato.

Così farneticando, di conseguenza, anche un Sant’Agostino diventa sintomo di fascismo (e perché no, anche il presepe…) perché «se i fascismi storici non potranno tornare, le abitudini culturali sì». Insomma, Eco getta il bambino con tutta l’acqua sporca e fa coincidere il Fascismo con l’intera storia d’Italia: a questo punto ogni difesa del nostro Paese è pericolosa, è il fascismo da smascherare in ogni sua forma «ogni giorno, in ogni parte del mondo».

La Sinistra italiana, ora più che mai, sta mistificando la storia recente del Paese, complice un governo di destra debole e complessato. L’antifascismo consisteva essenzialmente nell’unione di forze politiche diverse in un preciso momento storico, passato il quale subito venne meno, dettato com’era da un sentimento di vendetta e non di giustizia; era anche un fenomeno minoritario e non di popolo (Gianni Oliva ci informa che alla fine del 1943 di partigiani se ne contavano 18 mila, mentre i repubblichini erano oltre 200 mila; in seguito Ferruccio Parri dichiarerà che i 200 mila partigiani effettivi alla fine della guerra, diventeranno magicamente mezzo milione dopo il 25 aprile) e molti antifascisti non credevano né alla democrazia né alla Patria: lottavano per la rivoluzione comunista e obbedivano agli ordini di Stalin.

Lo spettacolo a cui assistiamo ogni anno, durante i cortei per l’anniversario della Liberazione, è avvilente: un tappetto di bandiere con falce e martello, arcobaleni lgbt, drappi palestinesi e nemmeno l’ombra di un tricolore; le sfilate dell’Anpi con i suoi ottusi adepti che inneggiano alle Foibe e a Tito; gli estremisti rossi che insultano le nostre Frecce tricolori chiamandole “Fecce tricolori” e bruciano la nostra bandiera gridando «Itaglia», mentre pacifisti e femministe accusano gli Alpini di molestie sessuali e di inneggiare al militarismo guerrafondaio durante le loro adunate.

Se il Fascismo è “autobiografia della Nazione”, l’Antifascismo è la rappresentazione concreta dell’Anti-Italia e le furbate di Alessandro Barbero – per cui i comunisti, pur avendo creato delle dittature sanguinarie, erano degli idealisti, mentre i fascisti erano “quelli lì” -, mi dispiace, ma non ce le beviamo…e raccontare, col sorriso stampato in faccia, di un nonno fascista fucilato dai partigiani lascia – almeno un po’ – perplessi.

 

Gianluca Rizzi

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