L’ultimo film del regista Guy Ritchie intitolato “Il Ministero della guerra sporca” esce a quindici anni di distanza dalla pellicola cult “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino. Cosa hanno in comune i due film? Beh praticamente tutto, tanto che l’opera del regista britannico può dirsi una vera e propria fotocopia del precedente del 2009.
Entrambi sono ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale, i protagonisti sono soldati alleati impegnati in missioni segrete contro il nemico – quelli di Ritchie occupati a sabotare gli U-Boot tedeschi, mentre i “bastardi” di Tarantino pronti a uccidere addirittura Hitler in persona-, situazioni rocambolesche condite da musica accattivante, cinismo come se piovesse.
La cosa però che più accomuna questi due film è la rappresentazione grottesca del soldato nazionalsocialista: un personaggio ottuso e ridicolo, a tratti comico, bersaglio delle violenze dei “buoni” angloamericani. Infatti, sia i “cani sciolti” dell’operazione Postmaster sia i soldati ebrei di Quentin Tarantino si divertono ad uccidere con armi non proprio regolari e con atti di una crudeltà inaudita quanti più nazisti possibili, sempre col sorriso sulle labbra.
Quello che salta agli occhi è la disumanizzazione del soldato germanico, meritevole solo di essere ucciso nei modi più brutali; un atteggiamento che svela un razzismo e un odio verso la figura del tedesco, inteso sia come militare sia come rappresentante di un intero popolo, contro la sua pelle bianca, i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari.
Un disprezzo ben sintetizzato dal protagonista di un altro film di guerra, Fury del regista David Ayer (2014) – il solito Brad Pitt spaccone nei panni del sergente americano Collier – il quale, tra un «fuck-nazi!» e l’altro, mentre guida la sua squadra di carri armati durante l’invasione della Germania a fine guerra, dice ai suoi: «ogni tedesco è un nemico che non può essere risparmiato», prefigurando gli orrori che il popolo tedesco subirà di lì a poco con l’occupazione anglo-sovietica del 1945.
Gianluca Rizzi