Roma, 11 giu – Alla fine il fido Donzelli ha parlato. Da interposta persona, ma ha parlato e ha aperto alla possibilità di ricandidatura per un terzo mandato per Sindaci – nei comuni superiori a 15000 abitanti – e per i Presidenti di Regione. Fratelli d’Italia prova, così, a serrare i ranghi con la Lega e a sparigliare ulteriormente le carte in casa del Pd, mentre il Pd di centrodestra – Forza Italia – frena.
Il centro-destra apre al terzo mandato
Se dici terzo mandato dici sicuramente due nomi: Vincenzo De Luca e Luca Zaia. Quest’ultimo, il politico più rappresentativo in Veneto, fa giustamente notare a chi storce il muso che l’elezione del Presidente della Regione è una forma di democrazia diretta – altro che i referendum abrogativi! – in quanto sono i cittadini a scegliere con la preferenza i loro diretti rappresentati. È paradossale che si lamenti chi da anni vive di politica grazie alle liste bloccate.
Se parliamo di democrazia, almeno a detta di chi scrive, non si capisce il motivo per cui a un cittadino si debba impedire di presentarsi alle elezioni in cui sarà il popolo sovrano a decidere la sua sorte elettorale; se parliamo, invece, di cortocircuiti se ne possono ritrovare più di uno. A partire da quello deluchiano che saluta con giubilo la “crescita” del Presidente del Consiglio: da “stronza” (cit.) ora è assisa a “grande intelligenza politica” (cit.).
La legge sul terzo mandato non è retroattiva, quindi, aprirebbe le porte alla candidatura di Zaia e di De Luca in primis e, probabilmente, anche al loro trionfo. Se Zaia è il politico già quasi (ri-confermato) Presidente in Veneto persino per i fratelli d’Italia della Lega, il sistema Salerno – l’apparato di politica clientelare di De Luca così ribattezzato dai giudici e che non è proprio una “frittura di pesce” come da intercettazioni – è ben rodato in Campania che, se non servirà a fare vincere il “Sindaco eterno”, così come Vincenzino si autodefinisce per via della sua velleità a “candidarsi in eterno”, sicuramente può pesare nella scelta di chi far perdere le elezioni. Uno su tutti Roberto Fico che da mesi si muove “sotto semaforo” – avrebbe detto Totò – per la scalata a Palazzo Santa Lucia.
Il caso De Luca
Di De Luca tutti ricorderanno che, oltre a essere diventato la caricatura di Crozza quando Crozza imita De Luca, ha sfoderato il meglio del peggio del suo repertorio nei deliri pandemici: dall’uso prolungato della mascherina “a piacere del governatore” fino alle invocate irruzioni con i lanciafiamme alle feste di laurea, con una particolare propensione verso i runner, nient’altro che “vecchi cinghialoni della mia età che correvano senza mascherine, con la tuta alla caviglia, una seconda alla zuava, un terzo pantaloncino sopra, che facevano footing in mezzo ai bambini. Andrebbero arrestati a vista per oltraggio al pudore”; dei dieci anni in Parlamento di Roberto Fico, invece, oltre alla legislatura da Presidente della Camera e terza carica più importante d’Italia, non si ricorda una legge, un decreto, un’iniziativa popolare, un atto degno di nota, ma solo la foto ricordo sul pulmino in cui non c’era nessuno (su un pullman! A Roma!) con lo zainetto sulle spalle il primo giorno di lavoro al Parlamento e la storia della colf in nero.
Se è vero che in casa Pd, che non voleva De Luca nemmeno per il secondo mandato, saranno in tanti ad avere mal di stomaco, nel centro-destra di governo hanno trovato un modo sicuramente singolare per mettere la pezza al buco: è noto a tutti, infatti, la colpa decennale di non aver creato un anti-De Luca in Campania, di non aver individuato una figura da poter opporre al governatore che rischia di trasformare la più importante Regione del Sud in un Delukistan in cui lui è papa e lui e re, da distruggere a suo piacimento.
Nemmeno oggi che Fratelli d’Italia è il primo partito della Nazione, è al governo e può contare su altre tre, se non quattro, forze politiche ed elettorali complementari è riuscita a individuare un candidato che metta fine al dominio incontrastato di Vincenzo.
Compattarsi in Veneto e sparigliare le carte in Campania?
Henry Kissinger a proposito degli italiani disse: “Gli italiani hanno un grande pregio e un grande difetto: il grande pregio è che sono molto intelligenti, il grande difetto è che sanno di esserlo”. E sembra proprio questo l’astuto/furbesco stratagemma per compattarsi in Veneto e far fronte all’incapacità di proporre un nome che interrompa la malagestione della Campania che, forse, è il vero, grande successo del “fratacchione”. Tentare di portare scompiglio in casa d’altri perché non è rassettata la propria. Questa è la politica attuale: sterile elettoralismo. Aggrapparsi al nome in assenza di programmi e progetti. Sperare nel personaggio-kamikaze in via Sant’Andrea delle Fratte per non implodere a Via della Scrofa. Perché la sinistra alle urne è puntualmente sconfitta, ma una sconfitta in Campania, più difficilmente in Veneto, per una compagine di governo non è certo un bel biglietto di presentazione ai cittadini pensando che presto si voterà anche in Toscana, nelle Marche e al Comune di Milano innanzitutto.
Solo tanta roba per le maratone di Mentana, per le onanistiche “vittorie simboliche” e “soglie psicologiche” e salite sul carr(occ)io del vincitore di turno, sinché 1943. Astuzia o furbizia, “paraculata” o tattica? Agli elettori l’ardua sentenza.
Tony Fabrizio