Taranto, 24 lug – Rinvio a giudizio per Nichi Vendola, ex presidente della Regione Puglia, nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente svenduto” avviata dalla procura di Taranto per indagare sulla gestione dell’Ilva da parte della famiglia Riva. Vendola è accusato di concussione aggravata, per aver fatto pressioni sull’allora presidente dell’Arpa, Giorgio Assennato, al fine da indurlo ad assecondare i piani dello stabilimento siderurgico: continuare la produzione senza provvedere alle necessarie bonifiche e alla riduzione di emissioni inquinanti.
L’accusa nei confronti dell’ex presidente è stata formulata dal procuratore Franco Sebastio e accolta dal gup Vilma Gilli. A carico di Vendola pesano soprattutto le intercettazioni telefoniche registrate durante i colloqui con Girolamo Archinà, responsabile dei Rapporti istituzionali dell’Ilva e factotum dei Riva. In particolare emerge un passaggio della telefonata intercorsa nel luglio 2010, quando Vendola e Archinà ridono di un giornalista dell’emittente locale Bluestar Tv che aveva “osato” chiedere, al termine di una conferenza stampa, cosa pensasse il patron del siderurgico riguardo alle numerose morti per tumore fra operai e cittadini tarantini. Archinà nell’occasione aveva strappato di mano il microfono al giornalista, definito nella telefonata da Vendola come “uno senza arte ne parte”, una “faccia da provocatore”, concludendo con un eloquente “dite a Riva che il Presidente non si è defilato”.
Eventuali risvolti penali dell’operato del leader di Sel sono al vaglio dei magistrati della procura ionica, ma l’immagine del politico illibato e lontano dai poteri forti, che Vendola ha cercato di costruire nei dieci anni del suo mandato, esce certamente ridimensionata, soprattutto se alla vicenda Ilva si affiancano quelle inerenti alla Sanità pubblica, al gasdotto Tap e alla gestione dell’emergenza Xylella fastidiosa. Del resto Sinistra Ecologia e Libertà esce con le ossa rotte dalla prima camera di consiglio, tanto da scatenare oltre alle critiche anche l’ironia del web. Insieme al leader nazionale del partito fra i 46 indagati risultano anche Ippazio Stefàno, sindaco “vendoliano” di Taranto, e Nicola Fratoianni, parlamentare di Sel.
Dei 53 indagati iniziali in cinque hanno scelto la via del processo abbreviato. Sono stati tutti condannati con pene che vanno dai cinque mesi ai tre anni. Anche fra loro compaiono nomi di spicco, in particolare quello di don Marco Gerardo, al tempo dei fatti segretario dell’allora arcivescovo di Taranto Benigno Luigi Papa, e Roberto Primerano, ex consulente della Procura ionica. Condanne che testimoniano come la rete di contatti e collusioni, intessuta dalla famiglia Riva e dal loro pr Archinà, coinvolgesse i vertici politici, ecclesiastici, sindacali, fino ad avere talpe nella stessa procura.
Francesco Pezzuto
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