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Ecco perché un movimento rivoluzionario deve avere una teoria rivoluzionaria

by Diego Fusaro
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Roma, 18 ott – Sulle orme di Gramsci, una teoria può dirsi rivoluzionaria quando separa completamente il campo del Servo da quello del Signore, ponendosi come “vertice inaccessibile” agli avversari e come categorizzazione del reale non riassorbibile nelle maglie dell’ideologia dominante. Come sappiamo, la lotta di classe è sempre anche una “lotta di classe culturale”, ossia una lotta superstrutturale tra visioni del mondo diverse e antagonistiche, tra prospettive non componibili e in aperto contrasto.
In assenza di una teoria rivoluzionaria, non può esservi nemmeno un movimento rivoluzionario. Quest’ultimo può costituirsi unicamente sul fondamento di una elaborazione teorica in grado a) di porre in evidenza le contraddizioni di cui è intessuto l’esistente (rovesciando le categorie dominanti), b) di tratteggiare una prospettiva in nome della quale agire nel presente in vista della rioccupazione del futuro e c) di tradursi gramscianamente in senso comune, in egemonia culturale e politica che sappia mobilitare le masse nazionali-popolari riformandole sul piano intellettuale e morale, inducendole a impegnarsi attivamente nel progetto di lotta contro il presente per il riscatto dell’avvenire.

Va da sé che se, come oggi accade, le categorie concettuali impiegate dal Servo sono le stesse impiegate dal Signore (e, dunque, ancora con Gramsci, non si pongono come “vertice inaccessibile” per il Signore stesso), la teoria non può essere rivoluzionaria: infatti, essa finirà inevitabilmente per generare “morfinismo politico” (Gramsci), per giustificare l’ordine vigente e per confermare la subalternità dei dominati, la loro subordinazione alle idee dominanti della classe dominante.
La vittoria del Signore è oggi, dunque, da intendersi sia al livello del conflitto materiale praticato nella forma del massacro ai danni dei subordinati (libero mercato, globalizzazione, competitività, ecc.), sia al livello dell’antagonismo culturale e simbolico. La lotta culturale a favore della decomposizione della coscienza di classe antagonistica sta procedendo, infatti, con pieno successo: di più, riesce a fare accettare al Servo, come se fosse naturale e fisiologica, fatale e ineluttabile, la differenza di potere e di ricchezza tendente all’infinito tra l’aristocrazia finanziaria della global class e la massa precarizzata della pauper class.

Il Servo, che nel rapporto di forza esistente sta in basso, ha metabolizzato lo sguardo dall’alto proprio del Signore: sguardo che induce il polo dominato e subalterno ad amare le proprie catene e, come nella caverna platonica, a battersi in loro difesa contro eventuali liberatori, dal Servo stesso diffamati secondo le etichette impiegate ad hoc dal Signore per ostracizzare ogni prospettiva non allineata (comunisti, fascisti, xenofobi, populisti, complottisti, rossobruni, ecc.). Per questo, l’odierno massacro di classe è simbolico, oltre che reale. Gli sconfitti della globalizzazione lo sono infatti doppiamente, sul piano strutturale e su quello superstrutturale: sono sconfitti e si adoperano per rimanerlo, giacché, anziché opporsi ai processi globalizzatori che li rendono ogni giorno più schiavi e più sfruttati, li salutano con entusiasmo, avversando tutto ciò che possa contrastarli (Stato nazionale, regolamentazione politica dell’economico, ecc.). Nuovi schiavi della caverna di platonica memoria, sono pronti a diffamare con le logore etichette di comunismo, di fascismo e di rossobrunismo chiunque provi anche solo a mostrarne le contraddizioni e a proporre un rovesciamento della situazione mediante la ripoliticizzazione del conflitto, la rieticizzazione della società, la risovranizzazione dell’economia, la deglobalizzazione anti-imperialistica, la deeconomicizzazione dell’immaginario e il riorientamento geopolitico in chiave non atlantista.

Queste categorie sono a tutti gli effetti il “vertice inaccessibile” per il Signore mondialista, del quale minacciano il dominio nell’atto stesso con cui lo svelano: per questo, esse vengono dal polo dominante contrastate in ogni modo, affinché il Servo stesso sia indotto a combatterle e, ancora una volta, a fare suo lo sguardo dall’alto, che pure dovrebbe combattere se alla realtà del rapporto di forza si accostasse propriamente con lo sguardo dal basso. Un esempio su tutti, tra i tanti disponibili: i giovani che poche settimane addietro scendono in piazza a manifestare contro il potere e, insieme, usano i suoi motti, urlando con voce roca “libera circolazione” e, di fatto, citando implicitamente come propri modelli Mario Monti e Soros.

Diego Fusaro

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3 comments

Luca 18 Ottobre 2018 - 8:01

Uno che mangia le ostriche e si fa i selfie in barca e parla di rivoluzione è solo l’ennesimo radical chic.

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Cesare 18 Ottobre 2018 - 9:33

Complimenti a Fusaro, che sebbene sia giovane, fà riflettere.Ed i giovani è noto, sono i piu’ rivoluzionari.E’ per questo che in molti paesi stanno liberalizzando la marijuana; per rincoglionirgli e tenerli in un mondo onirico ed egoistico

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