Roma, 5 apr – Il senso dello Stato di una nazione si misura anche da particolari minori. Anche da produzioni pop, che ritraggono il potere senza pagare dazio alla propaganda ma anche senza indulgere nella più trita retorica antinazionale. Per capirlo dobbiamo rivolgere gli occhi alla Francia e alla commedia brillante Quai d’Orsay del regista Bertrand Tavernier, presentata nei giorni scorsi al Festival del nuovo cinema francese di Roma. La pellicola, ambientata alla Farnesina d’oltralpe, mostra il mondo della diplomazia vista dal di dentro, attraverso l’occhio di un giovane funzionario, sullo sfondo dell’era Bush e della democrazia post 11 settembre.
Ancor più interessante del film, tuttavia, è la graphic novel in due volumi da cui la pellicola è tratta. Parliamo de I segreti del Quai d’Orsay, di Christophe Blain e Abel Lanzac, pubblicato in Italia da Coconino Press – Fandango. Un vero e proprio caso editoriale in Francia, con oltre 300mila copie vendute. La particolarità del fumetto, al di là del tratto caratteristico di Blain, e che Lanzac è lo pseudonimo di un vero ex funzionario ministeriale.
Protagonista de I segreti del Quai d’Orsay è Arthur Vlaminck, neoassunto consigliere “per il linguaggio” del vulcanico ministro degli Esteri Taillard de Vorms, figura di fantasia ispirata a Dominique de Villepin. Una cosa del genere, in Italia, finirebbe immediatamente a tarallucci e vino: un corrotto di qua, un puttaniere di là, un accenno di indignazione per tranquillizzare la coscienza e tanto fatalismo qualunquista. In Francia no.
Non che la graphic novel offra un ritratto idealista, retorico o autocompiaciuto delle stanze del potere. Tavola dopo tavola, tuttavia, si avverte costantemente l’impressione che sputare sulla Francia, anche quando si tratta solo di un fumetto, non sia affatto uno degli sport più praticati in riva alla Senna.
Il ministero è un microcosmo di personaggi, caratteri e gag ma nonostante tutto ci si prende comunque sul serio. Lo staff ministeriale non è una corte dei miracoli, ma un vero commando operativo. Talora sgangherato e casinista, ma sempre degno di patriottico rispetto.
Taillard de Vorms, il ministro, è un ciclone. I tratti sono appena abbozzati, il suo naso si allunga in una proiezione quasi futuristica, sembra quasi un uomo-proiettile. Entra ed esce dalle situazioni accompagnato da una sorta di rombo, ragiona e parla a una velocità doppia rispetto a chiunque gli sia accanto. Il suo attivismo sfrenato è caricaturale, ma la matita non è intinta nel fiele.
Al contrario, sia pur dipinto con forti tratti satirici, l’alter ego di Villepin ne esce come una figura affascinante. Uno, per dire, che alterna le riunioni ufficiali alla lettura di Eraclito, Democrito, Mao, Ignazio di Loyola. Parlando con quelli del suo staff usa il familiare “compagno” (bando agli equivoci: in francese è camarade, una parola unica per rossi e neri). I suoi ordini sono contraddittori e talvolta un po’ pazzoidi, ma il fumetto lascia intendere che la contraddizione è solo nell’osservatore che pensa più lentamente dell’uomo di genio.
Insomma, un modo di guardare dentro al Palazzo per noi piuttosto inedito e istruttivo, da cui traspare una diversa visione della politica e dello Stato. Unico appunto: c’era davvero bisogno di inserire il cammeo di un Berlusconi galante e sopra le righe, che finisce per prendersi del “coglione” dal protagonista? Ma si sa, in fondo sono pur sempre francesi.
Adriano Scianca
(articolo uscito su “Libero” del 4/4/2014)