Bolzano, 15 nov – A due giorni dalla grande manifestazione organizzata nella capitale dai ristoratori toscani che ha portato ad un incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervistiamo il presidente del Movimento produttori italiani, Salvatore Fais, per capire meglio i motivi della protesta e quali sono le aspettative dal governo in questa seconda fase di lockdown nazionale.
Al rientro dalla manifestazione di ieri davanti al Pantheon che ha visto scendere a Roma, a piedi e con i mezzi agricoli, i manifestanti toscani lungo la via Francigena, quali sono state le tue impressioni su una piazza animata da ristoratori, agricoltori, commercianti e Mascherine tricolori?
Le mie impressioni dopo la manifestazione, per quanto riguarda i manifestanti, sono molto positive. È la prima volta che vedo più categorie unite, appoggiate anche da altri gruppi che da mesi manifestano il dissenso verso questo governo. Molto gradita è stata la presenza in piazza delle Mascherine tricolori, in questo grave momento simbolo di unione, fratellanza e vicinanza per le nostre imprese e partite Iva.
Al termine della manifestazione siete stati finalmente ricevuti dal premier Conte per esporre le ragioni della protesta. Com’è andata questa audizione? Vedete da parte del governo qualche possibilità di venirvi incontro?
L’audizione con il presidente Conte per molti è stata una nota positiva ma, sinceramente, le parole non bastano più; specialmente da parte di chi per mesi ha preso in giro un Paese intero senza agire concretamente per aiutare il popolo italiano, a prescindere dalle diverse categorie.
Negli ultimi mesi si è discusso molto della sanatoria del ministro Lamorgese per regolarizzare duecentomila migranti al fine di fornire maggiore mano d’opera lavorativa per i campi. Questa iniziativa del governo ha realmente aiutato i produttori italiani?
La sanatoria del ministro Lamorgese per l’agricoltura, tanto voluta anche dalla Bellanova, si è dimostrata veramente inutile. Secondo i dati solo il 7% degli immigrati è andato a lavorare nelle aziende italiane. Avevamo chiesto corridoi verdi durante il precedente lockdown per far rientrare in Italia i dipendenti specializzati stranieri, che conoscono bene lavoro e aziende, e che da anni fanno le stagioni di raccolta nel nostro Paese. È assai difficile invece, ora, lavorare con immigrati che non conoscono la lingua, non sono specializzati e non si sono nemmeno mai visti sul territorio a cercare lavoro.
In queste vostre lunghe battaglie per la difesa della produzione italiana, iniziate ben prima della pandemia e oggi sempre più difficili a causa dei nuovi lockdown, se e quanto hanno influito e aiutato sindacati e associazioni di categoria?
Nel corso di tutte le nostre battaglie le associazioni di categoria sono state praticamente assenti! Non sono più associazioni di categoria ma sono diventati una sorta di sindacati. Attualmente, per questa nuova ondata di Covid-19, mentre i prezzi stanno scendendo per tutta la materia prima, nessuno di loro si sta muovendo.
Costruiscono progetti ben mirati per il loro solo guadagno oppure in favore di qualcuno ben voluto all’interno del governo. Per esempio Coldiretti, Eni e Bf hanno fatto l’accordo, alla presenza del presidente del consiglio Giuseppe Conte lo scorso giugno 2019, per un progetto in Africa volto a far crescere l’agricoltura dei Paesi poveri. Questo potrebbe starci bene se a lavorare nel progetto fossero interessate persone adulte ma, invece, si parla vergognosamente di ragazzi con un’età media di 16 anni. Il tutto per la modica cifra di 3 miliardi di euro finanziati dal governo italiano. Soldi nostri che in Italia oggi mancano. Dietro a tutto questo poi, troviamo ancora una volta le lobby legate ai Benetton.
Quanto incidono gli accordi sull’importazione delle merci straniere e come sono i rapporti con i vostri omologhi europei? Quali punti di incontro o di scontro trovate con la Ue?
I rapporti con l’Unione europea sono buoni anche se ci fanno credere che la colpa è dei prodotti esteri che invadono l’Italia. In questo caso dovrebbero essere le associazioni ed il governo italiano a fare una politica più patriottica, difendendo il made in Italy. Noi italiani produciamo circa il 70% del fabbisogno di materie prime e di prima qualità. Dalla Comunità europea non pretendiamo chissà quali contributi, vogliamo solo sia riconosciuto il giusto prezzo dei nostri prodotti.
Quali saranno adesso i vostri prossimi passi per vedervi riconosciute le vostre richieste al governo?
I nostri prossimi passi saranno sicuramente adeguati alle risposte che dal governo ci giungeranno. Ripeto: le parole e le promesse non bastano! Sono stati presentati svariati documenti che se non verranno accolti torneremo a protestare, cercando di unire più persone possibili, scendendo in strada a manifestare il nostro dissenso chiedendo le dimissioni di chi specula sul nostro lavoro, anche a costo di invadere Roma con i nostri mezzi agricoli.
Le immagini della protesta
Andrea Bonazza