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Il concerto del Primo maggio ha rotto i coglioni!

by Tony Fabrizio
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Roma, 1 mag – “Diciààsmocelo”, come duceva ‘gnazio che di La Russia ha poco e niente. Il concertone è niente di meglio che la vera data simbolo del cortocircuito che quest’asinistra ormai rosso sbiadita, manco più fucsia e conciata con tutti i petalosi colori dell’arcobaleno, riesce a mettere in campo. Largo ovviamente.

Cosa rimane del Primo maggio

Cosa resta oggi – che persino p. (minuscolo sta per profumo e non per Piero) Fassino è diventato l’uomo che non deve chiedere mai – di quello sciopero generale del 1 maggio 1886 con cui si lottava per ottenere la giornata lavorativa di 8 ore (vittoria fascistissima!), partita, come anche la festa de (a) l’otto m’arzo e il 25 aprile, nientepopodimeno che dall’America? Una beata minchia!
Il tradizionale concertone di piazza San Giovanni si terrà di nuovo in piazza dopo aver capito che al Circo Massimo faceva troppo circo per davvero, ma, al netto della location, anche quest’anno, come sempre, si grideranno (al vento) slogan di ogni genere – non sessuale, non sia mai, dicono quelli che poi si scapicollano per i femminicidi – senza capirci nulla come sempre. In fondo, si va per cantare. Al ritmo scandito di ogni cantante paladino del fluo che più fluo non si può. Anche perché, se così non fossero, non canterebbero.

Ad aprire la kermesse BigMama, una che fa la cantante grazie al “bodyscemi” che è diretta conseguenza del bullismo q.b. che però è anche un po’ fru fru che non guasta. E poi è salita anche sul palco di Sanremo per mostr(u)are la sua pinguedine, mica la sua voce. In fondo, all’Ariston va in scena – e oscena – il ciccia-pride, mica il festival della canzone italiana! E, poi, a ruota – ma non a rota, o forse sì – tutto il cucuzzaro partorito – e defecato – dall’ambiente no-strano progressista radical chic ormai sul caviale del tramonto. Ci saranno tutti, ma proprio tutti: d’altronde la sinistra è inclusiva, ma così inklusiva che al circo, pardon, in piazza per festeggiare la festa del lavoro ci saranno pure e soprattutto i disoccupati. Come potrebbero mancare all’evento che celebra lavoro che non c’è organizzato da chi il lavoro negli ultimi trent’anni l’ha distrutto? Che si chiami Pci Pds, Pd senza la esse di Schlein, “Shine” o come cavolo si chiama lei che almeno, non so sa come, ancora ci mette la faccia. E la feccia.

La parola d’ordine quest’anno sarà “Uniti per un lavoro sicuro”. Parola di sindacati che hanno ancora il culo caldo delle sedie di Confindustria! Che chiedono la chiusura di un’attività lavorativa, se, cito dal vero, una libreria si permette di presentare un libro scomodo. Che sapore di democrazia & libertà. Lo stesso sindacato che scende in piazza persino per difendere una bufala, una balla colossale che, però, è simulazione di reato. Come a Genova, dove tutti sono corsi a difendere l’aggredito immaginario. Aggressione farlocca manco a dirlo ad opera dei fascisti di turno. Forse, visto l’operato, lo slogan sarebbe potuto essere “Uniti per un lavoro sicuro” ovvero quello del contrasto al fascismo. Sempre. Comunque. Dovunque. E, dove non c’è, de lo inventano. Non quello della socializzazione delle imprese, quello della settimana lavorativa a 8 ore, quello tutelato dall’Infps, quello del “Comunichi al senatore Agnelli che nei nuovi stabilimenti Fiat devono esserci comodi e decorosi refettori per gli operai. Gli dica che il lavoratore che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista. Aggiunga che l’uomo non è una macchina adibita ad un’altra macchina”. Quando, alla Fiat si ricordava di utilizzare tutti prodotti italiani. Non quello relativo alla parte del lavoro che la Costituzione “antifascista” di chi non l’ha mai letta, ma non dei Padri costituenti che si preoccuparono di preservare e che non è mai stata messa in atto proprio grazie all’opera buona dei sindacati.

Una festa dell’ipocrisia

Oggi e sempre, resistenti! De coccio, tanto per tenere la posizione. Come avrebbero potuto mai capire, allora, che con la distruzione dell’industria pubblica italiana, con l’abolizione dei fondamentali diritti dei lavoratori, con la cancellazione dell’articolo 18, con il Jobs act, con il precariato, con i voucher, con l’emarginazione dei disoccupati italiani a favore della selvaggia immigrazione irregolare, finanche nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi popolari il lavoro lo avrebbero distrutto? Sia chiaro, con la complice collaborazione di quelli che si buttano “a destra” e che concorrono in minima parte, in parte trasversale, ad incancrenire ulteriormente l’ambiente. Come la scuola, ormai officina atta a forgiare nuovi schiavi, che lavora a fare accettare già con l’alternanza scuola-lavoro condizioni lavorative senza se e senza ma. Senza insegnare a rendersi conto che esiste qualcos’altro e qualcosa di più alto.

Dopo questa festa dell’ipocrisia, questo inno all’imbecillità, questa conta di astanti analfabeti funzionali fatti – e qui libertà di scelta sull’accezione e, purtroppo, non sull’eccezione del termine – cosa resterà della musica non stop? Bottiglie non battaglie! Di birra vuote, piscio rosso e cicchetti antifa ovunque, filtri mezzi fumati, cartine per rivoluzionati di cartone. Magari qualche operaio sfruttato e sottopagato come la collaboratrice di madama la BoldrinA o addirittura in nero come la colf di compagno Fiko a ripiegare fili e a smontare la struttura di tubi innocenti. Non innocenti come tutti quelli che da anni affollano questa maratona di musica che francamente ha davvero rotto i coglioni!

P.S.: una buona notizia c’è: a Roma quest’anno non piove. Peccato, nessuna doccia proletaria e nessun governo ladro!

Tony Fabrizio

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