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“Il nuovo Patto Ue impone le migrazioni agli Stati membri”, dice l’Ungheria. E ha ragione

by Alberto Celletti
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Roma, 5 ott –  Il Patto Ue sulle migrazioni impone l’immigrazione. La tesi, forte, viene dall’Ungheria, ed è già stata espressa in passato, sia negli ambienti politici magiari che polacchi. Dal canto nostro, abbiamo sempre sottolineato la politica immigrazionista di Bruxelles come quella altrettanto favorevole – di fatto – agli arrivi di tutti i governi europei con le uniche eccezioni di Budapest e Varsavia. Che poi questa propensione sia esercitata in modo confuso e talvolta costretto a respingere quote fisiologiche di clandestini ai confini (come fanno Francia e Germania, il che sarà la ragione primaria per cui questo ennesimo “accordo” non potrà funzionare) è un altro discorso.

Patto Ue sulle migrazioni, un altro strumento immigrazionista

Secondo il viceministro degli Interni ungherese Bence Rétvári il regolamento della gestione delle crisi, cioè l’ultimo punto del Patto Ue sulle migrazioni, “non fermerà la migrazione, ma la impone agli Stati membri”. L’accusa a Bruxelles è di aver “forzato il testo finale” permettendo agli Stati membri di “discutere la normativa solo pochi minuti prima del voto”. Inoltre, “il dibattito su questo tema critico è durato solo 13 minuti”. L’Ue ha “aggirato il processo decisionale”, prosegue, per ottenere il via libera del regolamento.Con la maggioranza qualificata si va avanti, ma Budapest e Varsavia non mollano, insistendo sulla necessità che tutti siano d’accordo. Per Rétvári “è emerso chiaramente che Bruxelles vuole avere il potere incontrollato di decidere quando, dove e quanti migranti distribuire se si verifica un’ondata improvvisa in uno Stato membro” rifiutando ogni quota obbligatoria di clandestini.

Polonia e Ungheria sono gli unici Paesi che ragionano

È evidente come i due Paesi del centro Est Europa siano gli unici a ragionare sulla questione. O a non avere un approccio immigrazionista. Insomma, ciascuno la veda come preferisce. Il resto del continente continua di fatto a partorire regolamenti che, oltre ad essere impossibili (perché nessuna società vuole altri clandestini, questo a dispetto dell’orientamento favorevole della maggior parte dei governi), sono anche perdenti per il contrasto del fenomeno. In ogni caso, non sembra ci sia alcuna volontà di uscirne davvero, se non con le toppe messe alla bisogna in modo confuso quando le popolazioni – giustamente – non ne possono più (i blocchi alle frontiere di Francia e Germania citati sopra): o si “spartiscono” i clandestini tra i Paesi o si fanno arrivare milioni di lavoratori stranieri legalizzando il fenomeno. Nessuno, al momento (come da anni) ha avviato mai un processo per dire no, senza eccezioni, agli arrivi e alle partenze. Salvo casi molto eccezionali.

Alberto Celletti

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