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Il Tfr e la (solita) furbizia di Renzi

by Filippo Burla
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cedolino busta pagaIl premier Renzi evidentemente ci ha preso gusto. Visto che in Europa quando ha parlato di deroghe ai parametri di bilancio lo hanno considerato alla stregua di una pulce con la tosse, visto che in Italia tutti i provvedimenti di aumento effettivo della spesa pubblica sono stati bocciati dai tecnici del ministero dell’Economia o dalla Corte dei Conti, allora ha iniziato stabilmente a praticare il giochino delle tre carte, sempre e comunque con i soldi altrui.

La prima volta con i tanto decantati 80 euro in busta paga. Ha coperto la diminuzione dell’Irpef per i lavoratori dipendenti con i fondi statali che dovevano essere trasferiti agli enti locali, lasciando a questi ultimi l’onere di arrangiarsi. E gli enti locali si sono arrangiati aumentando Tasi, Tari, addizionali comunali e regionali e via dicendo. Così gli 80 euro entrati dalla porta sono usciti tutti dalla finestra.

Adesso il nostro ha preso di mira il trattamento fine rapporto che le imprese dovranno corrispondere ai dipendenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Pretenderebbe di obbligare le imprese a corrisponderlo nel corso dell’attività lavorativa facendolo accreditare ratealmente nello stipendio. Peccato che, se Renzi fosse una persona un po’ più competente e soprattutto meno arrogante quanto basta da ascoltare qualche voce contraria, potrebbe rendersi conto che il Tfr nelle piccole e medie imprese è diventato, con la stretta creditizia degli ultimi 6 anni, l’unica vera, sostanziosa, fonte di finanziamento (ma sarebbe meglio dire autofinanziamento) a medio – lungo termine. Fonte di finanziamento che viene impiegata proprio per la sua caratteristica temporale in investimenti di medio – lungo termine, quali impianti, macchinari, fabbricati.

Ma adesso è arrivato lui, il Matteo nazionale, la pralina dell’ovvio per dirla alla Crozza, con il suo “armiamoci e partite” e così le imprese dovrebbero privarsi di liquidità immobilizzata sostituendosi al governo nel tentativo di immettere nuova liquidità nel circuito commerciale. Ma in realtà quella liquidità non sarebbe “nuova” perché verrebbe sottratta al settore degli investimenti produttivi per riversarla in quella dei consumi, con il rischio di farla fuoriuscire, almeno in parte consistente, all’estero.

Ci sarebbe da chiedere a Renzi perché non ha pensato la stessa cosa per i dipendenti pubblici, tenuto conto anche del blocco degli stipendi degli statali che va avanti ormai da quasi sette anni. Ma la risposta è semplice: come al solito vuole fare lo splendido con i soldi altrui, prendendosi tutti i meriti e mettendo ulteriormente in crisi un sistema imprenditoriale già ampiamente alle corde.

Walter Parisi

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