Roma 9 ago – Nelle more della crisi di governo, dal punto di vista finanziario emergono due questioni all’ordine del giorno. La prima è quella dello spread, la seconda quella della finanziaria per l’anno venturo.
Lo spread è un falso problema
Partiamo dai mercati, il convitato di pietra di ogni sommovimento politico. Oggi, come prevedibile, il differenziale Btp-Bund si è mostrato particolarmente tonico. Dopo l’apertura a 210, infatti, è schizzato immediatamente a 230 punti, superando poi i 240 per stabilizzarsi al momento appena al di sotto di questa soglia.
Si tratta di una normalissima fibrillazione che non dovrebbe destare particolari preoccupazioni sulla tenuta dei nostri conti pubblici. Anzitutto perché non è mai stata dimostrata l’esatta correlazione fra spread e tassi medi all’emissione dei nostri titoli di Stato. In secondo luogo, nonostante la “fiammata” odierna il valore resta sensibilmente basso, ai minimi da oltre un anno: era 250 ad agosto 2018, con un picco a 325 nel novembre sempre dello scorso anno.
Il problema si chiama legge di bilancio
Più che lo spread, dunque, a sollevare le maggiori preoccupazioni è invece la ventura manovra economica. Passaggio non scontato, viste le difficoltà dell’esecutivo.
Primo punto all’ordine del giorno sono le tempistiche. Nella migliore delle ipotesi la finestra elettorale più vicina è quella del 13 ottobre. Nella peggiore si va oltre l’inizio di novembre. Poco, molto poco per costruire agevolmente una maggioranza (anche di centrodestra, come sembra sperare Salvini) pronta da subito a lavorare. Il termine ultimo per la presentazione della finanziaria è il 31 dicembre: superata questa data si entra nell’esercizio provvisorio di bilancio. Eventualità che farebbe entrare in vigore i provvedimenti inseriti nella manovra 2019, prime fra tutte le clausole di salvaguardia sull’Iva che porterebbero l’imposta ordinaria dal 22 al 25,2% e quella agevolata dal 10 al 13%.
Come trovare 24 miliardi?
Una misura recessiva di cui non sentiamo certo la mancanza e che stroncherebbe sul nascere qualsiasi ipotesi di ripresa anche per l’anno nuovo dopo che già abbiamo perso quello in corso. A meno che – è l’ultima via di salvezza – non ci si accordi per recuperare i 24 miliardi che servono per sterilizzare gli aumenti Iva. Cinque (3 quest’anno, 2 il prossimo) dovrebbero arrivare dai risparmi su Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Altrettanti da un possibile ricorso al deficit sfruttando i pochi spazi concessi. Per i restanti 14 bisognerà però attingere da tagli alla spesa. Un gioco praticamente inutile, almeno dal punto di vista macroeconomico, perché con una mano che dà mentre l’altra toglie la somma tende a zero.
Ammesso e non concesso che si riesca a presentare la finanziaria nei termini, resterebbe comunque la questione dei rapporti con l’Unione Europea. Oltre alla nota di aggiornamento al Def di fine settembre, Bruxelles attende infatti di conoscere i fondamentali della manovra entro il 15 ottobre, quando però è plausibile che non esista alcun governo in carica, se non l’esecutivo uscente e solo per gli affari correnti. Se è difficile negoziare la legge di bilancio con la Commissione senza una maggioranza, altrettanto (se non peggio) lo è dovendolo fare in tempi stretti. Con il rischio, così, di ipotecare anche il 2020.
Filippo Burla