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L’Italia di Meloni oltre la Via della Seta: gli accordi con Giappone e Cina sulla via dell’espansione

by Stelio Fergola
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Italia Giappone

Roma, 5 feb – Uno dei punti in cui l’Italia meloniana ha dimostrato di essere maggiormente attiva è senza dubbio il fronte diplomatico. Il presidente del Consiglio, da quando è entrato in carica ormai quasi un anno e mezzo fa, ha fatto della pratica itinerante e dialettica una delle sue “vocazioni” più seguite. Con risultati ancora in costruzione e dagli esiti ancora incerti (si pensi soprattutto alla questione nordafricana o allo stesso Piano Mattei), ma certamente non priva di spunti interessanti. Con il viaggio in Giappone, il premier cerca di mettere un altro tassello su un ambito difficile e complicato: le relazioni italiane con l’Asia. Tokyo non può che essere un punto fermo, in modo non così dissimile da come lo sarebbe Pechino.

Italia e Giappone, un tassello importante per la “Roma asiatica”

Come riporta Adnkronos, la visita del premier Giorgia Meloni a Tokyo è scandita da frasi certamente di circostanza, ma indicative nell’importanza dell’incontro con il primo ministro nipponico Fumio Kishida. In un’intervista al quotidiano locale Yomiuri Shinbun, il capo del governo italiano parla di “grande ammirazione” per la Nazione del Sol Levante, sottolineandone la “fonte di ispirazione per chi, come me, crede che il ruolo della politica sia quello di interpretare l’interesse nazionale e l’identità più profonda di un popolo, sostenendo allo stesso tempo la convivenza pacifica e l’ordine internazionale basato su regole”. Un rapporto, quello tra Italia e Giappone, destinato a intensificarsi nei prossimi anni. “Partenariato strategico”, lo definisce Meloni, sulla falsariga delle intese con Pechino (nonostante l’uscita dalla Via della Seta). “La nostra collaborazione si sta espandendo su tutti i fronti e il mio obiettivo per i prossimi anni è sostenere questo importante rilancio. Penso in particolare al lancio di un meccanismo strutturato di consultazione politica e di sicurezza, al rafforzamento dei partenariati industriali soprattutto nei settori ad alta tecnologia e all’attuazione di progetti congiunti di ricerca scientifica”, aggiunge. Così, tra baci, abbracci, e inevitabili calcoli, la “Roma asiatica” prova a prendere – faticosamente, questo sì – forma. Ma i numeri dimostrano che non può essere tralasciata, indipendentemente dalle etichette, dagli schieramenti ufficiali sullo scacchiere geopolitico e da eventuali “alleanze concorrenti”

Limiti dell’uscita dalla Via della Seta e prospettive future

I critici asserivano che la Via della Seta fosse un sistema degenerativo in cui, sui mercati interni, si sarebbe potuto cedere il passo alla concorrenza spietata delle merci cinesi a basso costo. Ragionamento corretto e sensato, il quale però non si poneva troppo il dubbio sugli eventuali vantaggi e soprattutto sulla necessità di comprendere quanto la positività degli accordi commerciali, spesso, sia il frutto anche della capacità degli uomini (in questo caso, dei politici) di saperli gestire. In altre parole: è logico e scontato che la Cina faccia i suoi interessi, e nel gioco delle parti sta all’Italia fare i suoi: se la seconda parte dell’approccio è mancante, sarà scontato generare un’evoluzione negativa di qualsiasi relazione, sia essa economica o commerciale.

La Via della Seta non ha prodotto i risultati sperati in alcuni settori (su tutti, l’esportazione del vino) ma ha anche aumentato a dismisura le esportazioni generali verso Pechino da 1 miliardo nel 2022 ai 3,3 miliardi alla metà del 2023. Probabilmente, dicono, perché gli economisti “si interrogano sulle cause”, come citava un articolo sul Foglio di quel periodo. Se l’Italia guidata da Meloni è uscita dalla Via della Seta appena lo scorso dicembre, asserendo di non ritenere quell’accordo “vantaggioso”, di sicuro non è stata così sprovveduta da azzerare i rapporti con Pechino, comprendendone evidentemente l’importanza e avviando il “partenariato stratetgico” su cui il premier ha sempre fatto molta comunicazione sin dai primi mesi del suo incarico. La Cina è importante, al di là di una ovvia concorrenza e di una potenza smisurata di cui è – banalmente, è sciocco pure doverlo ricordare – portatrice. Così come è importante il Giappone. Roma ha la necessità quasi fisiologica di guardare ad Est, oltre che al Mediterraneo. Lo impone la sua posizione geografica, la sua tradizione di ponte diplomatico, la sua propensione storica a ritagliarsi spazi di autonomia sulle linee di demarcazione.

Stelio Fergola

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