Roma, 23 set – Si riduce la caduta del Pil 2013, cala anche il rapporto del deficit, la pressione fiscale perde mezzo punto percentuale e lo Stato ha pagato tutti i suoi arretrati. Sarebbe forse l’occasione di scendere in cantina e tirare fuori quel vecchio spumante che si tiene per le occasioni speciali, dato che di statistiche in miglioramento siamo a digiuno da parecchio tempo. C’è solo un problema: è tutto falso.
Meglio dire falsato, in realtà. Perché sì, i dati ufficiali parlano di qualche segnale di miglioramento. Dovuto a cosa? In merito al Pil il rischio è di finire nel ridicolo. Già, perché, stando ai nuovi criteri europei di calcolo, nel prodotto nazionale vengono incluse anche le attività sommerse, droga e prostituzione in primis. Da qui nasce l’aggiustamento: 58 miliardi in più nel 2013 (non varia però la contrazione in termini percentuali, dato che ad essere rivalutati sono anche i conti degli altri anni), cala il rapporto deficit/Pil dal 3% al 2.8%, il peso del debito pubblico passa dal 132.6% al 127.9% e si riduce, in ultimo, dal 43.8% al 43.3%, la pressione fiscale complessiva, dato che le attività sommerse -che pur fanno lievitare il prodotto interno lordo- non sono per loro natura soggette a imposizione.
La metodologia non convince il centro studi della Cgia di Mestre, che parla di cifre ben più elevate. Osserva il presidente degli artigiani veneti, Giuseppe Bortolussi: «la pressione fiscale reale, vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il “peso” dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50 per cento, attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,4 per cento. Un carico fiscale spaventoso».
L’utilizzo di artifici contabili non si risolve solo ai calcoli Istat. L’ultima trovata riguarda anche il saldo degli arretrati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Nonostante il conclamato mancato rispetto della promessa scadenza del 21 settembre, infatti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Del Rio sostiene che il problema è risolto: «Un imprenditore che ha un credito verso la Pa può andare in banca e farselo certificare e incassarlo. Da quando abbiamo fatto gli ultimi provvedimenti è possibile farlo, quindi tutti i debiti sono potenzialmente pagabili», ha affermato l’ex sindaco di Reggio Emilia. Peccato che non tutti i crediti siano certificati: molti imprenditori non hanno provveduto all’utilizzo della piattaforma dedicata, nel timore che questo avrebbe comportato un aumento dei tempi. E così sarà, visto che lo Stato ancora non paga ma si affida alle banche per portare le fatture a sconto, gravando peraltro gli imprenditori di ulteriori oneri, dall’1.6% all’1.9% sul totale, come corresponsione per l’intermediazione bancaria.
Filippo Burla