Roma, 23 sett – Nonostante in tutte le raffigurazioni monetarie sia associato al segno zodiacale del capricorno, la tradizione ci dice che il 23 settembre del 63 a.C. nasceva Augusto, il fondatore dell’impero romano.
Due le chiavi interpretative per comprendere la grandezza del personaggio: da un lato il suo lato rivoluzionario, dall’altro quello sacerdotale.
Il giorno della repentina morte di Giulio Cesare, Ottaviano aveva appena 19 anni e si trovava ad Apollonia, pronto a partire nella spedizione contro i Parti. Qualche giorno dopo, gli veniva comunicato, con grande sorpresa di tutti, che Cesare aveva nominato suoi eredi il popolo romano e il giovane Ottaviano, che veniva prontamente adottato.
A 19 anni è facile avere paura di una eredità così grande e delle tante invidie e inimicizie che ci si potrebbe attirare, ma Ottaviano accetta pubblicamente l’eredità del padre adottivo. La carriera politica di Ottaviano inizia nella totale illegalità, proprio come quella di Romolo. Per prima cosa assolda un esercito privato a sue spese: un atto gravissimo per la legge romana. Inizia lo scontro con Marco Antonio. Antonio aveva dalla sua una grandissima esperienza di guerra, una fama gloriosa e un grande patrimonio. Ottaviano, con grande astuzia, fa leva sulla parentela con Cesare e punta tutto sulla ultio Caesaris, la vendetta di Cesare, la cui morte aveva rattristato tutta la plebe romana. Riesce così ad allearsi non solo con i cesariani moderati, ma anche con i cesaricidi stessi. Nel 43 a Modena, Antonio viene battuto. A soli 20 anni, Ottaviano marciava su Roma con un esercito. È il secondo atto illegale del suo esordio. Ne parla, in un libro monomaniacale e politicizzato, Luciano Canfora: La prima marcia su Roma.
Si fa nominare console dal Senato. Antonio allora cerca di riconciliare i rapporti. Nasce così il secondo triumvirato, composto da Antonio, Ottaviano e Lepido. Nel 42, a Filippi, vengono uccisi e sconfitti i cesaricidi. La battaglia viene vinta grazie al genio militare di Marco Antonio, Ottaviano non era un buon generale. I rapporti con Marco Antonio si deteriorano presto. Dopo altre tre guerre civili, quella di Perugia, quella di Nauloco, e quella di Azio, Ottaviano diviene il capo indiscusso di Roma. Nel 27 gli viene concesso il titolo di Augusto. Qualche anno prima veniva iniziato ai misteri eleusini.
E qui veniamo alla seconda chiave interpretativa. Ottaviano non era un megalomane ed era consapevole dell’importanza non della sua individualità, ma della sua funzione storica. Nella parola Augusto c’è la radice indoeuropea *aug-, la stessa di auctoritas, che rimanda ad un potere legittimato dall’alto, dunque sacro. Un potere che precede la divisione dei poteri, come spiega Benveniste. Augusto è Romolo: il suo è un potere non di natura amministrativa, ma religiosa. La sua funzione è quella di regere, di indicare la via, di porre la regula. Pontifex, consul e tribunus al tempo stesso, poteva fare ciò, non in virtù di poteri straordinari, ma per la legittimità di un potere che era disceso su di lui dall’alto. Allo stesso modo in cui Augusto era princeps, Virgilio era poeta. Immaginiamo l’entusiasmo di Augusto quando gli vennero recitati gli esametri severi e pii dell’Eneide:
“All’uscita della città v’è un colle e un vetusto
tempio di Cerere abbandonato, e accanto un antico cipresso
conservato per molti anni dalla devozione dei padri”.
La religione dei padri, che pochi uomini avevano conservato, Augusto la ripristinava. Ma non bisogna cadere nell’errore di credere che la restaurazione religiosa di Augusto sia solo nella costruzione dei nuovi tempi, dell’ara Pacis in cui Enea è raffigurato come pontifex, nel rispetto assoluto di tutti i culti praticati all’interno dell’impero. La restaurazione sta nella funzione di Augusto, la medesima del rex indoeuropeo.
Quest’anno ricorre il bimillenario della morte di Augustoe non si sono registrati, da parte del Governo, minimi tentativi di celebrazione di una figura di così grande spicco per l’Italia.
Roberto Guiscardo
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[…] Durante questa scalata, conscio dei propri limiti in campo bellico, delegò al fido Agrippa le cruciali questioni militari. Insomma, un capolavoro di strategia che, tuttavia, aveva bisogno di una terza colonna portante da affiancare alla politica e alla forza: la cultura. Così l’imperatore si servì del consigliere Mecenate, attorno al quale sorse un vero e proprio circolo di letterati. Un vezzo, penserete. Niente affatto. Augusto sapeva che, per rendere duratura la propria vittoria, aveva necessità di plasmare un nuovo mondo, attraverso una rinnovata visione della propria figura e di Roma stessa. Poeti e autori come Orazio, Ovidio e Tito Livio aiutarono a portare questa nuova visione in ogni angolo dell’Impero. L’Eneide, opera commissionata a Virgilio, fu l’apice di questa propaganda culturale: le radici dell’Urbe si legavano ora all’epica omerica e la gens Iulia di Augusto ne diventava la progenitrice. La cultura esaltava e consolidava il potere imperiale. […]
[…] Durante questa scalata, conscio dei propri limiti in campo bellico, delegò al fido Agrippa le cruciali questioni militari. Insomma, un capolavoro di strategia che, tuttavia, aveva bisogno di una terza colonna portante da affiancare alla politica e alla forza: la cultura. Così l’imperatore si servì del consigliere Mecenate, attorno al quale sorse un vero e proprio circolo di letterati. Un vezzo, penserete. Niente affatto. Augusto sapeva che, per rendere duratura la propria vittoria, aveva necessità di plasmare un nuovo mondo, attraverso una rinnovata visione della propria figura e di Roma stessa. Poeti e autori come Orazio, Ovidio e Tito Livio aiutarono a portare questa nuova visione in ogni angolo dell’Impero. L’Eneide, opera commissionata a Virgilio, fu l’apice di questa propaganda culturale: le radici dell’Urbe si legavano ora all’epica omerica e la gens Iulia di Augusto ne diventava la progenitrice. La cultura esaltava e consolidava il potere imperiale. […]