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Il “pericolo fascista” in Italia non esiste. Ditelo a Fiano

by Fabrizio Vincenti
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Roma, 4 feb – Niente “pericolo fascista”. Niente trame nere. Niente pericoli dall’area dell’estrema destra. Niente derive eversive, razziste e autoritarie in vista. Niente remake del celebre film, con l’indimenticabile Ugo Tognazzi, Vogliamo i colonnelli. Niente di niente. Con buona pace di Fiano, Boldrini, Saviano e di tutta la chiesa antifascista che ogni giorno officia riti a suon di allarmi e preoccupate prese di posizione. Lo certifica la Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, presentata dal ministero dell’Interno.

Nel documento firmato dal ministro Salvini – ma che si basa sull’attività del 2017, quella per intenderci con ancora un ministro ex comunista alla guida del dicastero – l’area dell’estrema destra, nel capitolo riservato alla minaccia eversiva, è citata una sola volta. Ovvero dove si parla di volontari italiani che si sono mobilitati per il conflitto ucraino. Secondo la Relazione, tra i soggetti partiti per il Donbass sarebbero presenti persone appartenenti al movimento antagonista nazionale, sia di estrema destra che dell’ultrasinistra. Fine. Stop. Titoli di coda.

L’estrema destra esce dalla Relazione, piaccia o no. La minaccia fascista, invece, non compare nemmeno. A riempire intere pagine di quello che è un documento fondamentale sulla sicurezza nazionale, sono invece due pericoli ritenuti reali e concreti. Eppure sminuiti più e più volte: l’estremismo islamico e i rigurgiti dell’estrema sinistra. Partiamo proprio da questi ultimi. Per il ministero dell’Interno, e in particolare per il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, sono due le aree critiche all’interno del variegato mondo degli eredi della tradizione comunista. In primis, l’area marxista-leninista.

I marxisti-leninisti

Nel corso del 2017 non sono stati compiuti attentati riconducibili a organizzazioni terroristiche di questa matrice, probabilmente anche a causa della disarticolazione di strutture legate all’ala militarista e movimentista delle Brigate Rosse avvenuta nei primi anni 2000. Ma la minaccia, si legge, non può dirsi esaurita.

Un ruolo di primo piano continua a rivestire il circuito carcerario, dove sono detenuti numerosi terroristi – tutti condannati in via definitiva – riconducibili alle diverse espressioni del fenomeno brigatista. “La progressiva scarcerazione di molti militanti per ‘fine pena’ o per altri benefici (semilibertà o libertà vigilata) – sottolinea la Relazione – ed il conseguente ritorno in libertà di figure carismatiche per gli ambienti para-eversivi che hanno sempre rappresentato un punto di riferimento per la variegata galassia facente capo all’ala movimentista delle Brigate Rosse potrebbe rappresentare un elemento di catalizzazione per impulsi oltranzistici o per la maturazione di scelte di natura rivoluzionaria. Al riguardo, non sembra distonica la campagna contro il regime carcerario ed il 41 bis ‘ai prigionieri politici’ indetta da sodalizi riconducibili all’area marxista-leninista, ma alla quale hanno preso parte non solo ex militanti delle Brigate Rosse o di gruppi parabrigatisti, ma anche estremisti anarchici ed esponenti dell’antagonismo radicale”.

Gli anarco-insurrezionalisti

Diverso il caso dell’area anarco-insurrezionalista. “Sul fronte del terrorismo endogeno, la minaccia più rilevante, per l’anno 2017 – prosegue la Relazione – continua ad essere rappresentata dal movimento anarco-insurrezionalista, che, pur con le diverse posizioni espresse dalle varie compagini, persegue una strategia globale di lotta ‘antisistema’. La componente con maggiori profili di pericolosità fa capo alla Federazione Anarchica Informale – F.A.I., gruppo che ha aderito alla proposta della formazione greca ‘Cospirazione delle Cellule di Fuoco’ di riconoscersi nel brand F.A.I. – Fronte Rivoluzionario Internazionale”. L’attacco diretto viene ritenuto una pratica imprescindibile. E in effetti, nel 2017, sono numerosi i documenti prodotti che incitano alla mobilitazione in senso lato. Alta velocità Tav e gasdotto TAP sono solo due dei terreni di lotta.

Il terrorismo islamico

E veniamo al terrorismo internazionale, partendo dal ricordare che solo nel 2017 sono stati espulsi dal territorio nazionale 105 stranieri. Va da sé che con lo ius soli, lo Stato perderebbe un’arma, quella dell’espulsione di soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi ma ancora stranieri. Per informazioni, rivolgersi in Francia e/o Belgio. Ma non solo. L’offensiva jihadista, si sostiene dal Viminale, pur non avendo prodotto attentati in Italia, è assolutamente presente.

“Il nostro Paese – si legge – resta, in ogni caso, molto esposto alla minaccia del terrorismo di matrice islamica sotto un triplice profilo: per la presenza sul territorio del Santo Padre e del Vaticano, spesso evocati nel contesto di minacce postate sulla rete in quanto simboli della cristianità. Per la vicinanza geografica con le attuali aree di crisi e di conflitto (come il quadrante sirio-iracheno e nordafricano, in cui continuano ad operare formazioni jihadiste) nonché per la pregressa partecipazione di contingenti militari italiani nelle missioni in Afghanistan, Somalia, Bosnia, Kosovo, Libano. Per l’adesione alla Coalizione Internazionale contro il Daesh e per la recente missione militare in Niger”.

I rischi maggiori per la sicurezza interna derivano dall’eventuale realizzazione di azioni condotte da singoli individui, anche pensando ai 131 reduci reduci dai conflitti iracheno-siriano presenti sul territorio nazionale. I monitoraggi delle diverse realtà islamiche presenti in Italia sono diffusi: dalle moschee all’ambiente carcerario, dal web ai luoghi di aggregazione, sino alle dinamiche migratorie, dove si ammette la possibilità di infiltrazioni terroristiche a bordo dei barconi. Un altro colpo alle certezze (di cartone) dei sostenitori dell’accoglienza a prescindere.

Fabrizio Vincenti

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2 comments

Luigi Rodini 4 Febbraio 2019 - 8:30

La vista molto cortq.

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