Roma, 27 mar – Dopo una lunga quanto vana attesa, constatato che gli sconfortanti valori raggiunti in febbraio non sarebbero stati più superati nel corso di questo inverno, tutte le principali agenzie scientifiche del mondo tra cui le americane NSIDC, NASA e NOAA e la giapponese JAXA, hanno stabilito che la massima estensione del ghiaccio marino artico è stata raggiunta il 25 febbraio, con il valore di 14,54 milioni di km quadri, mai così presto e mai così poco dal 1978.
Normalmente, il ghiaccio marino nell’oceano artico e mari confinanti raggiunge la sua massima estensione nella seconda metà del mese di marzo, al termine dell’inverno, con una media nel periodo 1981-2010 di 15,64 milioni di km quadri, cioè 1,1 in più rispetto al massimo di quest’anno. Non è poco, dato che corrisponde a oltre tre volte la superficie dell’Italia.
Inoltre, dal 1978 non si era mai verificato un picco tanto anticipato rispetto alla fine della stagione invernale: almeno 20 giorni prima.
La copertura glaciale artica è particolarmente importante in relazione al clima della Terra per due ragioni fondamentali.
La prima, che da quando il riscaldamento globale è seriamente oggetto della ricerca scientifica, la regione artica è stata ritenuta la più sensibile, quella cioè che avrebbe ricevuto il riscaldamento maggiore. Questo perché, lasciando sempre più ampie aree di oceano libere dai ghiacci, queste avrebbero assorbito maggiori quantità di radiazione solare, amplificando il riscaldamento locale (e, di conseguenza, anche globale).
La seconda ragione riguarda il fatto che la distribuzione del ghiaccio marino intorno al polo nord sarebbe in grado di modificare la circolazione atmosferica alla scala planetaria, almeno nell’emisfero settentrionale, come già illustrato in dettaglio su queste colonne.
C’è da dire che, più che il massimo invernale, quello che è veramente importante è la minima estensione estiva, che normalmente si registra nel mese di settembre. Tuttavia, è stato osservato che le due estensioni – la massima invernale e la minima dell’estate successiva – sono abbastanza strettamente legate: a una anomalia negativa invernale segue un minimo estivo particolarmente ridotto.
Ambedue le ragioni sopra esposte hanno trovato ampie conferme scientifiche negli ultimi anni. La copertura glaciale è costantemente diminuita, quasi senza eccezione, lungo una traiettoria lineare nel tempo, tanto che negli ultimi anni il minimo estivo è sceso a una media di circa 5 milioni di km quadri, contro i quasi 8 di trent’anni fa: un crollo del 35%, che invece si “limita” al 12% per quanto riguarda il massimo invernale. Inoltre, le ultime estati relativamente fresche in Europa sono state collegate ad anomalie della circolazione atmosferica dovute alla riduzione della copertura glaciale artica.Considerando che nel 2012 la minima estensione estiva superò di poco i tre milioni di km quadrati, e che l’artico si considererà convenzionalmente “libero dai ghiacci” quando questi dovessero occupare meno di un milione di km quadrati, alcuni scienziati ipotizzano che entro il 2030 il polo nord sarà completamente libero dalla copertura glaciale almeno per alcuni giorni durante l’estate.
In realtà, in base a recentissime evidenze anticipate su queste colonne, una quantità spaventosa di calore si starebbe accumulando nelle profondità oceaniche, in particolare nel Pacifico, fenomeno favorito da una anomalia periodica della circolazione atmosferica. Quando questa anomalia dovesse invertirsi – evento previsto tra quest’anno e il prossimo – il calore accumulato dovrebbe “liberarsi” in gran parte nell’atmosfera, consentendo a questa di recuperare il relativo ritardo del riscaldamento osservato negli ultimi 15 anni. Se questa catena di eventi si rivelerà corretta, non sarebbe impensabile osservare l’oceano artico libero dai ghiacci già alla fine di questo decennio. Sarebbe la prima volta da 2,6 milioni di anni: se non altro, un segno della straordinaria potenza dell’uomo.
Il video seguente prodotto dalla Nasa (in inglese, sottotitolato) illustra sinteticamente la situazione.
Naturalmente, non sono tutte brutte notizie (ammesso che le precedenti siano percepite come tali): un artico libero dai ghiacci consentirà un notevole accorciamento delle rotte commerciali navali, almeno per alcuni mesi dell’anno, favorendo quindi i commerci, inoltre l’ambiente potrà diventare meno sfavorevole per le esplorazioni di idrocarburi, cioè petrolio e gas. Un miraggio, quest’ultimo, molto concreto, se è vero che già le grandi potenze si contendono l’artico a suon di spedizioni militari ed esplorative anche al di fuori delle proprie acque territoriali, in testa Russia, Canada, Norvegia e – strano a dirsi – la Cina che, pur abbastanza lontana dal profondo nord, ne rivendica una fetta in ragione della sua straripante popolazione. Stranamente inerti appaiono invece gli Usa che pure con l’Alaska si affacciano su una porzione considerevole dell’artico.
Gli immancabili guastafeste, che dovessero obiettare che estrarre e quindi consumare ulteriori idrocarburi non farà che incrementare ancora il riscaldamento del clima, faranno bene a mettersi l’animo in pace: il pianeta sarà comunque spremuto fino all’ultima goccia, come è sempre stato dal primo pozzo di petrolio in avanti.
Francesco Meneguzzo
1 commento
[…] Artico shock: picco di ghiaccio invernale mai così presto, mai così poco […]