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Ma è davvero tutto qui il film sulla vita di Limonov?

by Lorenzo Cafarchio
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Roma, 26 set – Quando si spengono le luci e l’audio esplode nella sala entrare nella vita di Eduard Veniaminovic Savenko è un attimo. Ma di chi stiamo parlando? Ovviamente di Eduard Limonov. Lo scrittore sovietico che potremmo definire operaio, maggiordomo, disoccupato, nullatenente, apolide, dissidente, delinquete, ma ogni aggettivo però lo incastonerebbe in un recinto nel quale è impossibile rinchiuderlo.

Un tentativo di smussare gli angoli?

Ecco allora perché il film Limonov è l’ennesimo (s)favore non richiesto che l’autore de Il poeta russo preferisce i grandi negri ha ricevuto dal mainstream. Il cineasta Kirill Serebrennikov ha messo su pellicola la cellulosa delle pagine che Emmanuel Carrère nel 2011 ha scritto attorno alla vicenda della penna dietro il testo Diario di un fallito. 138 minuti in cui l’attore Ben Whishaw plasma il suo volto su quello di Limonov e ci accompagna nella Russia degli anni ’60 e ’70, poi gli Stati Uniti d’America, in Francia e ancora a Mosca. Mancano tanti passaggi, manca l’ex Jugoslavia, manca tutto l’approccio politico del poeta. Mancano le sfuriate che Bietti, grazie alla curatela di Andrea Lombardi, ha messo nelle 240 pagine del Grande ospizio occidentale. Ed è proprio questo ospizio che ha pulito le aree grigie, nere e rosse di Limonov. Dallo schermo esce un intellettuale asettico che sembra l’ennesimo letterato vittima delle sue debolezze, in cerca di fama per sfamare la sua libido. Ma dov’è l’oblio e la risalita? Dov’è l’uomo controcorrente che torna eternamente ed è l’incubo di occidente e oriente?

Quello incarcerato sotto tutti i regimi sovietici che ha conosciuto dall’URSS a Putin. La bomba a mano – ecco da dove arriva il suo nom de plume ovvero da limonka granata in russo – deflagrata a tutte le latitudini che la sua figura e il suo inchiostro hanno raggiunto. Verissimo ci sono scene come il piano sequenza in cui il protagonista attraversa gli anni ’80 in una sorta di musical, che sono un vero e proprio pezzo di bravura del regista, ma non bastano a dipingere uno di quegli intellettuali che ha detto no. Ecco la vera verità è che se ti metti al centro della scena e non vuoi essere messo in panchina ci sarà sempre qualcuno che vorrà smussare le tue imperfezioni. Quante volte lo abbiamo visto? Da Céline a Brasillach passando per Luciano Bianciardi arrivando fino a Pound. E allora tocca la fatica di uscire dalla sala e tornare in libreria per leggere e conoscere, ma soprattutto per vivere.

Cosa rimane di Limonov

Ecco cosa ci insegna Limonov che il vitalismo paga e pagherà sempre, ma non in termini economici, in termini comunitari e di rivalsa. Le luci abbagliano, danno nuova forma alle parole, alle figure e alle lettere, ma esistono ancora lenti non bagnate dalla visione del liberalismo che possono mostrarci un’altra realtà. La realtà di Limonov. Può piacere, può fare schifo, ma così è se vi pare. “Se i tuoi eroi sono Jim Morrison, Lenin, Mishima, Baader sei già membro del nostro partito”, grida davanti alla cinepresa Whishaw nel momento più limonoviano della sua interpretazione. Avremmo qualche altro nome da suggerire all’attore e allo scrittore per aggiornare la lista, ma ci basta rammentare le parole con cui il giornalista Yurii Colombo ha ricordato Limonov all’indomani della morte, avvenuta il 17 marzo 2020, “mescolò Julius Evola e Lenin, Drieu la Rochelle e Gorky”.  Perfetto, siamo pronti per un nuovo ciak.

Lorenzo Cafarchio

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