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Pagan Peak, piccolo gioiello che evoca un’ancestrale Mitteleuropa

by La Redazione
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Roma, 10 nov – E’ una coproduzione austro-tedesca il terzo serial di Sky Deutschland. Ed è una vera bomba, una sorpresa inaspettata. Si chiama “Der Pass” ma da noi è passato come “Pagan Peak”, in Italia però non su Sky bensì su Rai4. La prima stagione consta di 8 episodi per una durata variabile tra i 43 e i 57 minuti. Una cadavere viene trovato al confine austro-tedesco, in una posizione simbolica che fa subito pensare ad un omicidio, in qualche modo, rituale. Vengono quindi chiamate a collaborare sia le forze dell’ordine del lato austriaco, capitanate dall’ambiguo Gedeon “Gedi” Winter (un favoloso Nicholas Ofczarek) che quelle teutoniche, con alla guida Ellie Stoker (la bravissima Julia Jentsch). Per rafforzare le indagini si crea una task force delle due polizie, supervisionate da uno psicologo profiler per catturare l’assassino. Che stabilisce subito una sorta di “legame” preferenziale con un giornalista bavarese, Charles Turek (Lucas Gregorowic), al quale invia file audio e indizi. E’ proprio quest’ultimo a rinominare il serial killer “il Krampus”, per via delle maschere che indossa e che ricordano il demone avversario di San Nikolaus (San Nicola) in tutte le zone germanofone (Italia inclusa) dell’arco alpino, protagonista di una sua specifica notte il 5 dicembre.

Le atmosfere del telefilm sono drammatiche, travolgenti, rarefatte. Giocate sui contrasti di luci ed ombre del maestoso e mozzafiato paesaggio montano della Stiria. Il cuore pulsante e oscuro della tradizione mitteleuropea. Un ambiente spesso selvaggio e ostile, protagonista tanto quanto gli attori, immortalato con una fotografia che rende davvero merito alla location, che tanto contribuisce a sottolineare le atmosfere che la fiction vuol rendere. E rende alla perfezione. Un luogo da cui sembrano sorgere i demoni interiori, archetipi di un’ancestralità latente che nemmeno la modernità può spezzare totalmente. Le indagini sono serrate e mettono a dura prova tutti i protagonisti. Ma, ovviamente, al centro ci sono i due principali: Yin e Yang.

Demoni interiori e trascendenza

Il Commissario austriaco rappresenta il lato “oscuro”: è ambiguo, cinico e svogliato. Cerca, inizialmente, di scaricare il barile del caso ai colleghi tedeschi, salvo poi gettarcisi a capofitto, in modo ossessivo. E’ dedito all’alzare troppo il gomito e al consumo di cocaina. E ha un passato recentissimo macchiato dal sostegno ad una gang di mafiosi locali di origini balcaniche da cui tenta di slegarsi. La Commissaria tedesca è disponibile e comprensiva anche contro l’insopportabilità del collega, solare, simpatica, positiva, ligia al dovere. Quest’indagine travolgerà tutti e avrà ripercussioni dure facendola misurare con il proprio lato oscuro e le proprie inquietudini. Al contrario, diventerà la disperata catarsi dell’austriaco, ad ogni costo, per superare colpe personali, sofferenze e fragilità e ascendere alla “salvezza”. Anche facendo i conti durissimi con sé stesso. L’assassino, poi, è tratteggiato nella psicologia di un fustigatore di “peccati” legati alla modernità, al distacco “empio” tra natura e progresso. Pur non essendo un “luddista” e, anzi, utilizzando ogni artefatto scientifico per perseguire il suo lucido e quasi affascinante disegno di punizione. Al quale sacrifica totalmente la vita: lavoro, affetti, famiglia.

Un piccolo gioiello senza morali nette

I rimandi a Theodore Kaczynski, in arte “Unabomber”, forse sono inconsci, forse no. Un assassino che la stampa chiarisce subito mosso non da motivazioni “politiche” bensì ideali, trascendentali. Non per questo, però, meno spietato o pericoloso. “Der Pass” è una storia di scontro con i propri abissi, riverberati nella Natura sconfinata e feroce. Ma è anche una storia di salvezza. C’è sempre una seconda possibilità. Anche se, i prezzi da pagare, sono salatissimi. E salvezza non coincide con “lieto fine”. Salvezza interiore non necessariamente è conforto. Può voler dire il sacrificio supremo. Come nei “misteri pagani”. La resurrezione attraverso la fine. Senza consolazione. Ma, del resto, la salvezza non è un concetto terreno. E’ una meta spirituale, da raggiungere consci che la vita è solo il passaggio di un ciclo.

“Der Pass” è un gioiellino in tutto: è avvincente, è ben scritto, è magnificamente recitato. Ha degli ambienti mozzafiato, tiene incollati allo schermo. Inquieta, disturba, commuove. Non fa sconti alla natura umana: sempre sfaccettata, sempre multiforme. Destinata a cambiare (a volte in meglio, altre in peggio) di fronte alla durezza degli eventi. Ma mai ad arrendersi. E’ un complesso itinerario negli affanni personali della vita e nei demoni interiori di certe menti. C’è luce e oscurità in ognuno. C’è chi si salva, misurandosi con il proprio io, quale sia la conseguenza e chi “cade”, delirando di “punizioni altrui” ed ergendosi a giudice e boia. Ma si è tutti tessere dello stesso mosaico. Forti, fragili, determinati. Luci e ombre si mescolano di continuo, ma possiamo fare la differenza. E fare delle scelte. In qualsiasi istante. Anche quando la vita sembra frantumata, finita. E il fondo, toccato. O ci si può far ingoiare dai propri deliri, “razionalizzandoli” sotto forma di assassino seriale.

Niente magniloquenze “avventurose” da telefilm americani. Niente morali nette. Un argomento del genere solo una sensibilità europea poteva trattarlo in modo così disincantato eppure senza assenza di speranza. Si può sempre sperare, anche quando si è sopra un baratro. Siamo noi gli artefici del nostro destino. E quando decidiamo e raggiungiamo la nostra propria salvezza, siamo allora finalmente liberi. In un senso profondo, disinteressato ai significati meramente “materiali”…e la fedeltà all’amicizia val bene l’epilogo più disperato e impietoso. Con il sorriso dell’anima, finalmente. Nonostante tutto.

Maurizio L’Episcopia

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