Roma, 15 nov – Per il filosofo comunista Jean-Paul Sartre il calcio avrebbe rappresentato una metafora della vita. Secondo Pier Paolo Pasolini – scrittore politicamente meno etichettabile, o comunque decisamente più trasversale del francese – il pallone, tra rito ed evasione, sarebbe “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Di sicuro, e forse meno poeticamente, è una cartina di tornasole della società. “Io coi fascisti non parlo”, lo diceva mezzo secolo fa Berlinguer. Oggi nell’era dei social, gli antifascisti per i quali tutto potenzialmente si può trasformare nel loro incubo (e quindi nulla lo diventa realmente) fanno la resistenza – sì, fa già ridere così ma perseveriamo – abbandonando in massa X, il social di Elon Musk. Ecco, tra i partigiani del virtuale c’è pure il St. Pauli, polisportiva tedesca che nella sua sezione “a undici” milita in Bundesliga.
Il comunicato della società marrone
Secondo la società di Amburgo l’eccentrico imprenditore sudafricano avrebbe trasformato il fu Twitter in un «amplificatore di odio che potrebbe anche influenzare le elezioni del Bundestag». Si chiama libero dibattito, bellezza – aggiungiamo noi. Ma continuiamo con le parole dei marroni anseatici. «Il razzismo e le teorie del complotto si stanno diffondendo senza controllo o addirittura vengono curate», ma forse c’è un altro problema. O meglio, non sta qui il punto. Il peccato originale di Musk pare proprio essere l’aver «fortemente supportato» Donald Trump nelle recenti elezioni americane.
Avanti a supposizioni: «si può presumere che X promuoverà anche contenuti autoritari, misantropici ed estremisti di destra nella campagna elettorale federale, manipolando così il discorso pubblico», come se il dibattito politico non si fosse spostato – già da diversi anni – in massa da giornali e salotti televisivi ai social. Attivo sulla piattaforma della discordia da oltre un decennio, il St. Pauli abbandona così i suoi 250 mila follower. Che a dirla tutta sono anche un po’ pochini se pensiamo che le decisamente meno mediatiche Sassuolo e Udinese – due provinciali italiane prese a campione – sfondano quota 300 mila.
Oltre la retorica mainstream: il St. Pauli e l’antifascismo applicato al calcio
E questo è un particolare non da poco. Più che per i risultati del campo infatti il St. Pauli – squadra che ha passato gran parte della sua storia nella Zweite Bundesliga, Serie B tedesca – diventa famoso in Europa grazie all’auto-narrazione che, amplificata dai media, ha saputo crearsi dagli anni ‘80 in avanti. Va detto: a sinistra è – senza mezzi termini – un fenomeno di culto. La scelta dello stadio nella zona a luci rosse della città, i divieti agli estremisti di destra. E poi in tempi più recenti le campagne antirazziste, l’appoggio alle Ong (tra cui una certa Sea Watch) e alla causa Lgbt – l’arcobaleno è ovunque, dalla fascia di capitano alle bandiere in curva.
Ambiguo invece il senso di pacifismo. Che da una parte ha accompagnato alla porta (senza licenziarlo) il turco Sahin Cenk, reo di aver postato nel 2019 contenuti pro-Erdogan. Ma dall’altra – probabilmente perché la tifoseria dei kiezkicker ha stretti rapporti con quella dell’Hapoel Tel Aviv – non ha mai veramente preso posizione nei confronti del conflitto israelo-palestinese.
Da Dresda a Piazzale Loreto: chi amplifica l’odio?
Nel pieno rispetto del sistema tedesco, l’assemblea dei tifosi detiene il 50%+1 del St. Pauli. Partecipazione attiva – tanto sugli spalti come dietro le scrivanie – della base popolare: quest’ultima a rigor di logica dovrebbe quindi ripudiare in toto quell’odio la cui diffusione si vorrebbe attribuire a Musk. Eppure non va proprio così, se è vero che nel 2017, ad esempio, furono esposti striscioni di scherno sulle vittime del bombardamento alleato di Dresda. Meno vergognosa, ma non di certo distensiva la presa di posizione sul caso Salvini-Rackete.
Nell’ottobre 2022 a pochi giorni dal risultato elettorale italiano ebbero invece la “fantasiosa” trovata di tirare in ballo Piazzale Loreto. Le solite stampelle su cui poggia l’antifascismo insomma. Come detto, X è stato il loro ultimo bersaglio. Ma da che pulpito viene la predica?
Cesare Ordelaffi