Roma, 25 giu – Non vi è dubbio: il fallimento della nazionale di Prandelli è stato il fallimento della retorica anti-italiana. Sotto tutti i punti di vista, come spiega l’editoriale di oggi. La nazionale è uscita dal mondiale al primo turno, in un girone che è stato vinto dalla Costa Rica. Risultato imbarazzante, fallimento totale che ridimensiona il discreto risultato ottenuto agli europei di due anni fa. Europei che, comunque, ci hanno visto stentare nel girone e perdere la finale per 4 a 0.
La Federazione Italiana dovrà fare un bilancio: il più severo possibile, il più pragmatico possibile, il più realistico possibile. Partendo da un’analisi sulle nazionali giovanili: la nostra under 21, pur essendo la nazionale più titolata a livello europeo, non ottiene successi dal 2004; le altre squadre stentano. Non può essere un caso se negli ultimi 24 incontri giovanili contro la Spagna, le nostre nazionali hanno ottenuto 22 sconfitte e 2 pareggi, devono fare riflettere i risultati con la selezione belga under 15 e under 16, due pareggi e due sconfitte nell’ultima stagione.
Il bilancio generale della Federazione dovrà essere severo. Così come severo non può che essere quello nei confronti degli azzurri guidati (male) da Prandelli. Analizziamo tre aspetti di questo fallimento.
Fallimento metodologico.
Prandelli e il suo staff tecnico hanno utilizzato una metodologia di allenamento vecchia e non al passo coi tempi. A Coverciano per un mese si è curato principalmente gli aspetti fisici: test su test, preminenza alla preparazione atletica, casetta Manaus. Lo staff della nazionale, però, non ha tenuto conto dell’aspetto principale: il gioco del calcio non è divisibile analiticamente, il giocatore è “un tutto”, possiede caratteristiche fisiche, tecniche, tattiche e psicologiche che vanno sviluppate nel loro insieme senza fare delle scomposizioni analitiche. Non si può pretendere di allenare solo gli aspetti atletici e fisici e poi lamentarsi dell’assenza di idee, di gioco. Sono inutili tapis roulant e cyclette alle temperature di Manaus, per testare le reazioni dei giocatori a determinati sforzi, se poi in campo non si è capaci sviluppare una manovra offensiva efficace né una fase difensiva organizzata. Ma è soprattutto inutile riprodurre le condizioni climatiche di Manaus se poi, alla prova dei fatti, due giocatori sono costretti a chiedere il cambio per i crampi: forse gli sforzi richiesti dal calcio non hanno nulla a che vedere di quelli richiesti dalla cyclette?
Fallimento tattico.
L’Italia non ha dimostrato di avere una coerente idea di gioco. Abbiamo sentito parlare di moduli e numeri: inutile e deleterio. Il calcio non è un gioco manageriale sul pc, non basta spostare due pedine sulla lavagna per ottenere risultati. E proprio sotto questo aspetto Prandelli ha dimostrato incoerenza. Nelle prime due partite ci siamo affidati a un possesso palla sterile, nella nostra metà campo, senza accelerazioni, senza efficaci transizioni. Si è parlato di tiki taka dopo il successo sull’Inghilterra, erroneamente: Spagna e Barcellona hanno costruito i loro successi in gran parte sulle transizioni e sul pressing. Cosa che la nostra nazionale non ha fatto vedere. Atteggiamento attendista, zero ripartenze: il nostro possesso palla, quindi, non è stato e non poteva essere strategicamente vincente. Nell’ultima partita Prandelli ha cambiato tutto: ha cercato di riproporre la Juventus in salsa azzurra. Ma la Juventus ha Vidal, centrocampista fenomenale negli inserimenti, non Veratti, giocatore totalmente diverso, seppur di primo piano. La Juventus ha molteplici soluzioni di attacco: attaccanti che attaccano la profondità, che dialogano in coppia, esterni che sono molto propositivi, inserimenti dei centrocampisti. L’Italia non ha avuto niente di tutto questo. Il motivo è semplice: una strategia vincente non si improvvisa. Per ottenere un atteggiamento tattico vincente è necessario allenarsi costantemente su determinati movimenti e soluzioni: cambiare tutto da una partita all’altra non può che portare a un fallimento.
Fallimento del movimento calcistico.
Prandelli è il simbolo del movimento calcio italiano: un calcio che non ha coraggio di cambiare, di evolvere. Evolvere non significa copiare: si può crescere senza snaturare la natura e i caratteri del nostro calcio. Dobbiamo tornare a essere pratici, dinamici, strategici, astuti, rapidi e inesorabili. Come lo siamo stati nei nostri anni migliori. Ma proprio per questo è necessario un rinnovamento totale all’interno della Federazione. Un esempio? I corsi di allenatore. Nel corso degli ultimi anni si è sempre parlato di meritocrazia e di giovani: poi un giovane ambizioso si trova davanti alla realtà e scopre che quella degli allenatori è al livello delle peggiori caste del nostro paese: se non hai giocato ad alti livelli hai enorme difficoltà ad entrare nei corsi che ti danno l’abilitazione ad allenare nel calcio professionistico. Questo comporta zero evoluzione, zero innovazione, zero studio: gli ex giocatori avranno davanti a sé percorsi sempre privilegiati. Spesso questo comporta un legame col passato: “le novità non mi interessano, ho già imparato tutto sul campo”. Però non è così, il calcio si evolve, e per essere al passo coi tempi è necessaria una preparazione costante. Proprio per questo non è un caso se dai nostri settori giovanili non crescono più campioni: i campioni vanno coltivati con metodologie di allenamento adatte ai tempi, innovative, non con metodi legati al passato.
Tirando le somme: il futuro è cupo. La Federazione dovrebbe riflettere e rivoluzionarsi. Allo stesso tempo dobbiamo evitare di scopiazzare gli altri. Dobbiamo ripartire dalla nostra identità, con coraggio e ambizione. Altrimenti siamo destinati a diventare sempre più un calcio minore.
Renato Montagnolo
1 commento
[…] Metodologia, tattica, giovani: un fallimento. Le colpe di Prandelli e della Federazione […]