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Pallone d’oro, dal merito al marketing (e ritorno?)

by Marco Battistini
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Roma, 15 sett – Sono stati resi noti una decina di giorni fa i trenta candidati che si contenderanno il Pallone d’oro 2024, titolo che verrà assegnato il 28 ottobre prossimo sulla base della stagione passata. Spagnoli e tedeschi con mezza dozzina di atleti a testa fanno la voce grossa, cinque gli inglesi in lizza, mentre passando alle società c’è, ovviamente, tanto Real Madrid – sei giocatori più il nuovo acquisto Mbappé. Purtroppo, come prevedibile, nessun italiano. Un’edizione, se così vogliamo definirla, storica, in quanto dopo vent’anni non sono presenti né Cristiano Ronaldo – prima presenza nel 2004 – né Messi (la Pulce rientrò tra i papabili nel 2006). Ovvero coloro che hanno cannibalizzato il premio per un decennio consecutivo.

Messi, Cristiano Ronaldo e un’eccessiva riverenza

Ora, senza nulla togliere alle immense capacità tecniche e alle eccezionali carriere del portoghese e dell’argentino, la sensazione è che proprio in quel periodo il pallone d’oro si sia – per così dire – svalutato. Fermo restando che il riconoscimento rimane personale, tra i quattro requisiti riportati nell’articolo 10 del regolamento troviamo anche le “prestazioni delle squadre durante l’anno preso in considerazione”. Sì, perché anche nell’epoca in cui  si pensava al tifoso consumatore “a misura di giocatore” (a proposito, speriamo di non sentirne parlare più) il pallone è rimasto un gioco corale, con l’individualità al servizio del resto dell’undici. Come insegna Boniperti “vincere è l’unica cosa che conta”, ma in questo contesto basterebbe anche solo andarci vicino.

Ecco, forse per questioni di marketing, forse per eccessiva riverenza verso due mostri sacri che ad ogni modo hanno scritto la storia, in diverse occasioni le scelte non sono state poi così condivisibili. Pensiamo al Messi del 2010 (con gli interisti campioni d’Europa e la Spagna sul tetto del mondo) o a quello datato 2012 – il Chelsea vince la Champions, la selezione iberica l’europeo. Per non parlare dei più recenti assegnati nel 2019 e 2021. E poi ancora il 2013 e un CR7 nemmeno in finale nella coppa dalle grandi orecchie. Erano punte di diamante in compagini zeppe di campioni: non è un caso che il Real Madrid abbia continuato a fare incetta di trofei dopo il 2018 e il capitano della Seleccion non ha mai fatto fare il salto di qualità all’ambizioso Psg.

Pallone d’oro, la fine di un’era

Volenti o nolenti siamo comunque arrivati alla fine di un’era, accompagnati meno traumaticamente dai successi di Modric e Benzema – 2018 e 2022. Storicamente chi si destreggia davanti, segna e si prende gli applausi parte avvantaggiato. Ma in un trofeo dove comunque contano in egual misura anche carriera, personalità e carisma si dovrebbe guardare al calcio in maniera organica: le vittorie si costruiscono pure attorno a chi para, a chi regge una difesa, a chi pensa e fa girare il gioco.

Non è per fare i nostalgici ma, insomma, per peso specifico – e puro patriottismo, bisogna ammetterlo – ci teniamo ancora stretto il pallone d’oro di Fabio Cannavaro (2006). Oggi tra i trenta finalisti un trio di favoriti: lo spagnolo Rodri del Manchester City, il brasiliano Vinicius e il nazionale inglese Jude Bellingham, entrambi del Real Madrid. Decisamente staccato dal possibile podio, il capitano interista Lautaro è il giocatore che può arrivare più in alto rispetto agli altri protagonisti della Serie A. Nel nostro piccolo – e oggi ridotti forzatamente a semplici spettatori esterni – non possiamo che attendere tempi migliori per i nostri connazionali che indossano paio di scarpini nei piedi…

Marco Battistini

 

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