Roma, 28 nov – Il multiculturalismo ad ogni costo è il grande diktat del XXI secolo, ormai ne siamo tutti consapevoli. Nei Paesi europei in cui il processo è avviato e consoldato molto più che da noi, l’imposizione è ancora più pressante e totalitaria. I fatti di Bruxelles ce lo testimoniano ancora una volta, ma i media, come al solito, hanno messo la notizia in secondo piano il prima possibile, e le prime pagine dei giornali, già stamattina, non la riportavano più, nonostante, come abbiamo notato anche noi, gli scontri siano proseguiti fino a tarda notte.
Il multiculturalismo, una forzatura evidente delle società umane
La domanda che sorge spontanea all’osservatore ignaro ma non certo sprovveduto è sempre la stessa: perché? A chi giova tutto ciò? La risposta sarebbe lunga e complessa, per il breve spazio che ci viene concesso. Certo è che, per dirla alla Richard Millet, scrittore francese, la questione è partita tutta dal solito antirazzismo ideologico. Ovvero qualcosa che, con il rispetto dei popoli gli uni verso gli altri, beh, non c’entra nulla, come egli stesso sottolinea nella sua opera “L’antirazzismo come terrore letterario”, dove spiega in modo fin troppo chiaro come “opporsi a questa ideologia dominante equivale ad indossare l’abito d’infamia“. Fa riflettere il fatto che Millet, esattamente come altri esponenti transalpini particolarmente critici contro il multiculturalismo (basti pensare allo stesso Éric Zemmour, fondatore del partito Reconquête, o lo stesso), sia di origine nordafricana e non “puramente” francese.
Insomma, proprio dalle voci più “multiculturali” in terra transalpina spesso si avverte l’esigenza di denunciare una follia che, praticamente ovunque si sia diffusa l’idea di forzare popoli e culture diverse a condividere lo stesso territorio, ha prodotto danni enormi. E basti pensare a tutti i Paesi che ne sono maggiormente coinvolti: dalla Svezia (dove i disordini e il caos hanno raggiunto il loro apice), alle varie Francia, Inghilterra e, per l’appunto, lo stesso Belgio. Nazioni come la Germania sono sulla “buona strada” (per usare una truce ironia), l’Italia è ancora un pizzico indietro, ma si sta lavorando per peggiorare anche in casa nostra, e sappiamo fin troppo bene quanto.
Banlieue europee ovunque, ad ogni costo
Le denunce del problema hanno sviluppato una letteratura florida proprio nel Paese che prima di ogni altro in Europa lo ha dovuto affrontare: la Francia. Perfino nella letteratura fantapolitica, poi divenuta sorprendentemente realistica, di quel “campo dei Santi” di Jean Raspali che, agli inizi degli anni Settanta, immaginava un Occidente strapieno di clandestini che lo invadevano. Cruda ironia, diremmo oggi, il fatto che quel quadro sia realtà. Ma le Banlieue francesi, ovvero quei quartieri periferici che sarebbero divenuti teatro costante di guerriglie, cominciano proprio dalla fine di quel decennio a quello successivo. Per poi diffondersi in quelle terre scandinave di cui sopra, in Inghilterra. Da noi, iniziamo appena ad assaggiare il fenomeno nei dintorni di Milano, di Roma, di Napoli e anche di molte città di medie dimensioni come Bologna o altre. Ma prima o poi cassonetti incendiati, scontri senza motivo, conflitti sociali e culturali di ogni genere, diverranno la regola anche qui. Se non si ferma un processo distruttivo e assolutamente illogico, di puro principio ideologico (sebbene asservito, come sempre, a un’ idea economica ben precisa e, tanto per cambiare, distruttiva) non esiste alternativa. Bruxelles ce lo ha ricordato per l’ennesima volta nella giornata di ieri. Non ci sono dubbi sul fatto che le classi dirigenti occidentali, ancora una volta, si volteranno dall’altra parte.
Stelio Fergola