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Addio a Isao Takahata il co-fondatore dello Studio Ghibli che cantò il Giappone tradizionale

by La Redazione
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Tokyo, 6 apr – È scomparso all’età di 82 anni Isao Takahata. Regista d’animazione, aveva fondato insieme ad Hayao Miyazaki lo Studio Ghibli e aveva firmato opere di rilevanza mondiale come «Heidi, ragazza delle Alpi» (1974) e «Anna dai capelli rossi» (1976) – fra le serie – e «Una tomba per le lucciole» (1988) e «Pioggia di ricordi» (1991) fra i lungometraggi. La sua ultima opera, «Storia della principessa splendente» (2013), aveva ricevuto la nomination agli Oscar. 
Takahata aveva iniziato la sua carriera nella Toei nel 1959. Rimasto influenzato dal cinema d’animazione francese e russo, decise di svincolare i cartoni animati del Sol Levante dai modelli disneyani. Regista puro – non ha mai fatto il disegnatore, a differenza di molti altri suoi colleghi – ha dato un’impronta adulta al proprio cinema, rivolgendosi verso storie introspettive.  Alla fine degli anni Sessanta è tra quelli che notano il talento di Hayao Miyazaki, con il quale inizia una feconda collaborazione che nel 1984 li condurrà a fondare lo Studio Ghibli (il nome è in italiano, omaggio all’aereo della Caproni Ca.309), il più celebrato studio d’animazione del mondo.
I suoi lavori – sia i film che le serie televisive – sono spesso state improntate a un deciso ecologismo e a un rifiuto del mondo industriale e divoratore della natura. «Pioggia di ricordi» racconta del ritorno al paesino rurale di una ragazza in carriera nella grande città. Un ritorno che si accompagna a una riscoperta dei valori campagnoli come unico antidoto all’alienazione urbana. Non a caso la colonna sonora del film comprende una serie di canzoni tradizionali dell’Europa orientale (famosissima «Teremtés» del gruppo folkungherese Muzsikàs) e anche una stornellata italiana. Sempre l’ecologismo con la lotta degli spiriti-tasso (i tanuki) contro la cementificazione delle campagne giapponesi è il leitmotivdi «Pom Poko», film non riuscitissimo ma che tuttavia ha lasciato un segno nell’immaginario collettivo. Alla fine degli anni Ottanta era stato questo stesso tema – la distruzione del paesaggio rurale giapponese per far posto al cemento – al centro di un documentario non d’animazione firmato assieme a Miyazaki, «La storia dei canali di Yanagawa» (inedito in Italia).
Sempre alla fine degli anni Ottanta Isao Takahata dirige quella che è la sua opera più conosciuta, lo struggente «Una tomba per le lucciole». La pellicola racconta con realismo e crudezza il dramma dei bombardamenti americani sulle città giapponesi nell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale. I due protagonisti, un ragazzo di 14 anni – Seita – e sua sorella minore Setsuko, rimangono orfani durante un raid incendiario su Kobe e iniziano una vita di espedienti nel vano tentativo di sopravvivere, anche umanamente, all’orrore della guerra. «Una tomba per le lucciole» è straziante e rappresenta un durissimo atto d’accusa non solo verso i bombardamenti americani indiscriminati, ma anche contro la società giapponese, rappresentata come arida e gretta, e contro il militarismo. Takahata ha inserito nel film un dato autobiografico, essendo egli stesso sopravvissuto a un bombardamento incendiario sulla sua città, Ujiyamada, fuggendo scalzo assieme alla sorella dalle bombe al fosforo americane. L’effetto del bombardamento su Kobe nel film è stato ricostruito sui suoi ricordi diretti, compresi quelli più spaventosi delle pile di cadaveri bruciati e dei feriti ustionati.
L’ultimo film di Isao Takahata risale al 2013: «La storia della principessa splendente». Quasi avesse voluto chiudere il suo ciclo produttivo, Takahata si ricongiunge al genere cinematografico con cui ha iniziato la sua carriera, quello della favola antica trasposta in cartone animato. Realizzato con un disegno quasi a mano libera, il film non ha ricevuto dal pubblico la stessa approvazione riscossa fra i critici: ha incassato al botteghino meno di metà dei soldi spesi per la produzione. La «Principessa Splendente» rappresenta un vero e proprio manifesto della tradizione. La vicenda è quella di una celebre favola popolare giapponese (di cui esistono versioni ovunque nel mondo, anche nella tradizione popolare italiana): un vecchio e povero taglialegna che non ha figli scopre in un tronco di bambù una minuscola bambina. La porta a casa e assieme alla moglie la alleva amorevolmente come fosse loro figlia. La ragazza cresce come una bambina normale ma piena di doti straordinarie, tanto da essere notata a corte. Passa allora dalla povera ma verace vita dei contadini a quella artificiosa del lusso fra nobili e cortigiani, fin quando non si rivela la sua natura: è una Dea, e il suo posto è in cielo, sulla Luna, alla corte degli Dei. Deve così abbandonare i suoi amati vecchi genitori adottivi e lasciare la terra rimpiangendo la felicità dell’infanzia trascorsa in una casa di poveri taglialegna.
Dalle sue prime opere – così come per il suo impegno per i diritti sindacali dei lavoratori negli anni Sessanta – fino alla «Principessa Splendente» Isao Takahata ha lottato per la sua idea di giustizia: una giustizia inscindibile dal ricongiungimento con un mondo anti-moderno, dal contatto con la natura, la tradizione contadina, i veri rapporti umani. Nella sua ultima opera aveva espresso il concetto che la tradizione più profonda e popolare è universale: «non ho dubbi che ciò che può essere goduto dal pubblico giapponese di oggi può esserlo anche a livello internazionale», aveva detto in un’intervista nel 2015 a chi esprimeva preoccupazione che una favola giapponese del 10° secolo non potesse raggiungere la sensibilità degli spettatori al di fuori del paese del Sol Levante.
Emanuele Mastrangelo

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