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Aeronautica Usa, nuovi problemi: cedimento al carrello per un F-22 Raptor?

by Flavio Bartolucci
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F-22 Raptor problemi

Roma, 8 mag – Un Lockheed Martin F-22 Raptor, il caccia stealth di quinta generazione statunitense, è stato protagonista di un “piccolo incidente” sulla pista dell’aeroporto internazionale di Savannah in Georgia. Non si conosce la dinamica e gli unici elementi noti sono alcune foto diffuse su X dove si vede il caccia appoggiato sul fianco destro con il tettuccio aperto, in quello che sembrerebbe un cedimento del carrello destro. L’F-22 in questione era impegnato nell’esercitazione Sentry Savannah della locale Air National Guard ed è inquadrato nel 71° Fighter Squadron, 1st Fighter Wing di stanza a Langley-Eustis, Virginia. Nel laconico comunicato stampa diffuso da alcune testate si precisa che non ci sono stati feriti.

F-22 Raptor e il “problema” dell’aviazione americana

La notizia di questo “piccolo incidente”, mishap una semplice disavventura come scrivono le testate statunitensi, sarebbe quasi argomento da cronaca locale. Ma ha come protagonista l’F-22, quello che è uno dei meritati orgogli dell’aviazione statunitense, e arriva a nemmeno un mese di distanza al cedimento del carrello anteriore di un altro F-22 Raptor di stanza in Giappone. E il carrello dell’F-22 aveva fatto “cilecca” anche negli anni passati con diversi imprevisti non dissimili a quello visto in Giappone ad aprile: cedimenti al carrello nel 2022, nel 2021 e ancora nel 2018 e nel 2012. Insomma come direbbe Agatha Christie «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».

Certo in almeno un caso il problema poteva derivare dall’addestramento, ma è evidente che quello che dovrebbe essere la punta di diamante della difesa aerea statunitense ha bisogno di una manutenzione e un trattamento adeguato. E i “piccoli incidenti” vanno a impattare anche sull’immagine della difesa occidentale.

Uno status symbol

L’F-22 è infatti non solo il velivolo destinato a sorvegliare i cieli degli Stati Uniti ma rappresenta quasi il paradigma su cui si è evoluta l’aviazione da caccia degli ultimi trent’anni. Derivato dal dimostratore tecnologico YF-22 che aveva volato nel 1990, il primo F-22 volò nel 1997 per entrare in servizio nel 2005 rappresenta il primo caccia della cosiddetta quinta generazione. Il programma della difesa prevedeva inizialmente la realizzazione di oltre 700 esemplari dovendo rimpiazzare l’F-15 Eagle e in parte l’F-16 Fighting Falcon, ma per l’incremento di costi prima si ridusse l’ordine a poco meno di 400 velivoli, poi ridotti a soli 187 caccia, con l’ultimo F-22 consegnato nel 2012. E con l’F-22 Raptor finito a sua volta quasi rimpiazzato dell’aereo che doveva sostituire: l’F-15! Quest’anno dovrebbe entrare in servizio l’F-15EX Eagle II, ultima evoluzione dell’F-15, prodotto proprio perché gli F-15 più vecchi dovevano andare in pensione e non si dispone di un numero sufficiente di F-22 ed F-35.

Eppure l’F-22 nasceva come un mezzo assolutamente di punta, con delle caratteristiche stealth e di super-manovrabilità (è dotato di motori con getti orientabili sull’asse verticale) talmente spinte da proibirne l’esportazione da parte degli Stati Uniti. Pure nel rivestimento radar-assorbente per l’F-22 si è optato per una scelta più pragmatica che tenesse conto anche delle necessità operative: a differenza del bombardiere stealth Northrop Grumman B-2 Spirit che richiede hangar a temperatura controllata per non danneggiare il rivestimento radar assorbente, l’F-22 non richiede attenzioni così speciali.

Ma l’F-22 una macchina delicata, anche perché la chiusura della linea di produzione limita fortemente gli interventi di ripristino in seguito ad incidente: per far tornare a volare l’F-22 “spanciato” nel 2018 ci sono voluti cinque anni e un costo non inferiore ai 20 milioni di dollari. Per l’incidente simile occorso a un F-22 nel 2012 ci vollero sei anni e 35 milioni di dollari.

Numeri e prospettive “ridimensionate”?

Non è certo nemmeno il numero effettivo di caccia disponibili, si parla di circa 125 F-22 Raptor assegnati a stormi e di questi nel 2021 si stimava che poco più del 50 % fosse mission ready. E già nel budget per il 2023 l’aeronautica richiedeva di togliere dall’inventario una trentina di F-22 per allocare risorse proprio sui nuovi F-15EX.

Il piano dell’aeronautica statunitense è comunque rimpiazzare l’F-22 con il nuovo caccia di sesta generazione del programma Next Generation Air Dominance una volta che sarà disponibile. E nel frattempo si cerca di adeguare l’F-22 Raptor alle mutate esigenze della difesa di oggi. Recentemente è stato dotato di una coppia di pod esterni per il sistema ottico passivo IRST, Infra-Red Search and Track, una tecnologia di cui l’F-22 non era dotato, in quanto il sistema era stato eliminato per i costi crescenti e, anche, per l’iniziale scarso interesse statunitense per questa tecnologia. Contemporaneamente sono stati sviluppati dei serbatoi ausiliari dalle caratteristiche stealth necessari ad aumentare l’autonomia dell’F-22 nel teatro del Pacifico. Pure la presenza di quattro carichi alari, seppur disegnati per mantenere le caratteristiche stealth, su un velivolo che delle caratteristiche della bassa visibilità radar faceva il suo punto di forza, appare come un canto del cigno per il primo caccia di quinta generazione.

Anche perché dall’Alaska arriva un’altra notizia sul mutato approccio alla difesa aerea della US Air Force. Nella base aerea di Eielson la squadriglia di F-16 destinata a impersonare le forze aeree avversarie, ovvero uno dei cosiddetti aggressor squadron dotati di aerei che richiamano le livree russe, è stato ridenominato da 18° Aggressor Squadron a 18° Fighter Interceptor Squadron. Da Squadriglia Aggressor a Squadriglia Caccia Intercettori. Questione di nomenclatura forse, o vista l’indisponibilità di F-22 e, anche di F-35, c’è il rischio che il ruolo di prima linea finisca a quel reparto che in teoria doveva fare da “spettatore”.

Insomma come ricorda il think-tank statunitense Center for Strategic & Industrial Studies in uno dei suoi ultimi resoconti e come spiega Progetto Razzia in uno dei suoi ultimi video: «La base industriale statunitense non ha la capacità, la reattività, la flessibilità e la capacità di intervento per soddisfare le esigenze di produzione delle forze armate statunitensi».

Flavio Bartolucci

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